7.5
- Band: ENTER SHIKARI
- Durata: 00:34:20
- Disponibile dal: 21/04/2023
- Etichetta:
- Ambush Reality
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A vent’anni esatti dalla formazione con monicker e line-up attuale, gli Enter Shikari restano una delle realtà più interessanti e lungimiranti della moderna scena mainstream, capaci di lanciare la moda del trance-core sopravvivendo alla stessa con una rapida evoluzione verso un genere inclassificabile (per semplicità lo chiameremo alternative electro rock-metal), il tutto mantenendo un’attitudine da ‘cazzonimpegnati’ ed un controllo totale sulla propria musica. Dopo la sfortuna occorsa con “Nothing Is True & Everything Is Possible” – il disco più ambizioso uscito agli albori dei lockdown e pertanto mai realmente promosso dal vivo – era in qualche modo prevedibile un lavoro più diretto, e così possiamo definire “A Kiss for the Whole World”: un disco compatto, che riprende l’energia degli esordi accendendo la miccia per gli imminenti festival estivi (compreso il nostrano Slam Dunk). La voglia di divertirsi traspare fin dalla fanfara che apre la title-track, con richiami all’electrocore dei primi due album e ritornelli da voci bianche, e continua con l’altrettanto eclettica “(pls) set me on fire”. A chiudere un’ideale poker ci pensano il trance-core di “It Hurts” e il simil-dubstep di “Leap into the Lightning”, entrambe filtrate dalla sensibilità pop maturata nell’ultimo decennio (in un percorso, strano a dirsi, scollegato dalla svolta pop dei connazionali Bring Me The Horizon). L’interludio “feed yøur søul” (un minuto di drum’n’bass piuttosto old school) apre concettualmente una seconda sezione, dove cambiano le coordinate: se “Dead Wood” può ricordare il brit-pop dei Blur, però con l’orchestra sotto acidi e il vocoder, “Jailbreak” al contrario viaggia spedita come la versione pop-punk di Machine Gun Kelly, con un ritornello ripetuto all’infinito. Un’altra bella mazzata è “Bloodshot”, con un beat da fare invidia ai Chemical Brothers d’annata e relativa coda strumentale nell’interludio “Bloodshot (Coda)”, così come funziona il gioco di contrasti di “goldfĭsh ~”, un pastiche che mescola breakdown, hip-hop, electro-pop e altri sottogeneri; la chiusura affidata alla doppia “Giant Pacific Octopus” lasciava forse presagire qualcosa in più visto titolo e posizione in scaletta, ma in linea con lo spirito del disco va dritto al punto chiudendo la pratica in poco più di tre minuti. Questo settimo sigillo non sarà ricordato come il loro lavoro più rivoluzionario o impegnato, ma i bacioni in arrivo da St. Albans sanno ancora come farci ballare.