8.0
- Band: ENTER SHIKARI
- Durata: 00:45:00
- Disponibile dal: 19/01/2015
- Etichetta:
- Ambush Reality
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In un’ipotetica encicolpedia metallica, da tramandare tra cinquant’anni ai nipotini, alla voce ‘Metalcore’ difficilmente troverebbero un posto in prima pagina gli Enter Shikari, schiacciati dalla popolarità dei vari Killswitch Engage, Avenged Sevenfold, Trivium, Bring Me The Horizon e compagnia bella. Nondimeno, sarebbe ingiusto non riconoscere al quartetto di St Albans un posto pionierstico nella scena, a partire dal seminale “Take To The Skies”, pietra angolare del cosidetto trance-core, nonché passaporto per un enorme esposizione mediatica nel lontano 2007. Dopo il più immediato “Common Dreads”, i Nostri fanno il definitivo salto di qualità con “A Flash Flood Of Colour”, portavoce di un messaggio più impegnato e di una contaminazione elettronica più raffinata, ripercorrendo le orme di Rage Against The Machine e System Of A Down in salsa elettronica. Sulle stesse coordinate si posiziona anche “The Mindsweep”, fin dalle prime battute inquadrabile come il lavoro più eterogeneo nella pur variegata galleria degli Enter Shikari. Aperto dal primo quarto della title track, “The Appeal & The Mindsweep”, il disco parte subito in crescendo con l’ingresso di cori maestosi e arrangiamenti elettronici potenti, salvo poi svoltare con “The One True Color” verso quella melodia fanciullesca che tanto ce li ha fatti amare dai tempi di “The Juggernauts”. Poco da aggiungere sui due primi singoli – “Anaesthetist” e “The Last Garrison”, all’altezza dei loro predecessori -, mentre la prima sorpresa arriva con “Never Let Go of the Microscope”, un rap elettronico in cui abbiamo modo di apprezzare a fondo la poliedricità vocale del singer Rou Reynolds: Particolare anche l’attacco di “Myopia”, in cui i Muse più spaziali si fondono con i breakdown degli esordi, così come colpisce nel segno la successiva “Torn Apart”, grazie al’unione tra una base drum ‘n bass da fare venire i crampi e un ritornello della serie ‘chiudi gli occhi / apri la mente’. Sul finale, trovano posto due dei pezzi meno immediati – la marcetta di “The Bank Of England” e il rave impazzito di “There’s A Price On You Head” – preludio ad un altro momento di dolcezza da Mulino Bianco con “Dear Future Historians”, una ballad per piano e voce con fuochi d’artificio finali, nello stile dei migliori Coldplay. Chiusura col botto affidata alla seconda metà della title-track, in cui, rotte definitivamente le righe, l’appello iniziale viene ripreso in un frullatore di elettronica, chitarre post-hardcore, urla alternate a spoken word, inserti orchestrali da colonna sonora e spezzoni vari, tra cui quella “Sorry You’re Not A Winner” da cui tutto aveva avuto inizio. Eccezion fatta per il meltin pot finale, inquadrabile nella categoria dei divertissement, come anticipato ci troviamo al cospetto dell’album più maturo del quartetto albionico, pronto ad affrancarsi definitivamente dal ruolo di sbarbatelli da rave metal party, ma senza perdere l’energia degli esordi. E chissà che, con qualche anno di ritardo, non trovino finalmente il spazio che gli spetta negli annali di cui sopra…