6.0
- Band: ENTHEOS
- Durata: 00:40:30
- Disponibile dal: 03/03/23
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Quello degli Entheos è un nome che potrebbe non suonare come una novità per i più fedeli appassionati di sonorità progressive/djent metal: giunti al traguardo del terzo album, i nomi coinvolti nel progetto vantano un passato e militanze in alcune formazioni cruciali per il genere, come Animal As Leaders e The Faceless, consolidando oggi la propria posizione presso Metal Blade Records con il nuovo “Time Take Us All”. Il timone compositivo ed esecutivo rimane solidamente nelle mani del polistrumentista Navene Koperweis, che, discostandosi dal suo celebre ruolo dietro le pelli, si è occupato della scrittura e della registrazione di tutte le partiture di chitarra, su cui si imprime la varietà di stili vocali utilizzati dalla cantante Chaney Crabb per accompagnare i molteplici cambi umorali delle canzoni ed il basso (invero piuttosto bistrattato) di un altro nome altisonante come Evan Brewer (Animosity, Fallujah), membro fondatore ritornato all’ovile proprio in questa occasione. Impostate le coordinate stilistiche del gruppo, si parte quindi con il faticoso ascolto della tracklist presentata, un prevedibile tripudio di tecnica strumentale e vocale dalle intenzioni bombastiche, a presa ultra diretta. Non si può nascondere infatti il desiderio di colpire incessantemente l’attenzione dell’ascoltatore con interventi furiosi, intricati, su cui Koperweis riversa con poca parsimonia un gusto piuttosto didattico che si riflette in una serie di cliché quasi inevitabili.
Aver collaborato con i migliori del settore, unita alla intelligente capacità di replica e musicale dell’americano, porta “Time Will Take Us All” su un livello qualitativo sicuramente elevato, ma anche terribilmente noioso allo stesso tempo, quasi una dimostrazione da manuale su come debba essere interpretato oggi un metal moderno sia aggressivo che sospeso, tecnico ma ammiccante, brutale nelle intenzioni ma anche oscuro in altri momenti. Gli Entheos sono tutto questo, focalizzati sull’immagine, sia figurata che reale, di un duo artistico che sa cosa ottenere e come raggiungerlo, a scapito sicuramente di una mancanza di vera necessità espressiva che alimenti lo sterile materiale di questo disco.
In molti potrebbero gridare al capolavoro sui vertiginosi passaggi di “The Sinking Sun”, sulle indulgenze melodiche di “I Am The Void” o le tirate inumane di “The Interior Wilderness”, ma sotto la superficie emerge una vacuità essenziale che priva il lavoro di un’anima vivente, di una pulsazione vitale che avrebbe potuto rendere una impeccabile esecuzione di stile un vero esempio di modern metal progressivo e profondo.