5.0
- Band: ENTOMBED
- Durata: 00:43:39
- Disponibile dal: 16/11/1998
- Etichetta:
- Music For Nations
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
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1998: un grosso interrogativo tormenta tutti i fan degli Entombed. Che cosa faranno gli svedesi al primo album senza Nicke Andersson, colui che è sempre stato il loro compositore principale? Andranno avanti per la strada tracciata di recente con “Wolverine Blues” e “To Ride…” o torneranno al death metal degli esordi? Nè una, nè l’altra soluzione… ascoltare “Same Difference” per credere! Da un lato, bisogna dare atto alla band – ora guidata da Uffe Cederlund – di non avere mai paura di cambiare le carte in tavola, dall’altro, purtroppo, si rimane con tanto amaro in bocca nel constatare dove i nostri siano andati musicalmente a parare. Ascoltando il disco, risulta evidente come Andersson non fosse certo l’unico membro della band a essere ormai stanco del metal. Cederlund, infatti, dà qui vita a una tracklist che in certi casi non ha niente a che fare neppure con quell’hard rock o con quello stoner che si udivano nelle ultime opere. Al contrario, abbondano le soluzioni prettamente rock e, in qualche episodio, si arriva persino a pensare a del post grunge. Oggettivamente, la produzione firmata da Daniel Rey è curatissima e assai azzeccata per le sonorità messe in mostra, tuttavia ci si chiede: può una band chiamata Entombed fare totalmente a meno della sua tipica ruvidità e sfrontatezza? Purtroppo si ha la netta sensazione che, per la prima volta nella loro storia, i nostri abbiano composto dei brani pensando più alla classifica che alla reale efficacia e validità delle soluzioni espresse. Manca spessissimo quella personalità che era solita traboccare in tutte le opere del passato. Prima gli Entombed indicavano la strada da seguire, ora invece sembrano seguire la massa. Una cosa inconcepibile solo sino a pochi anni fa. Inoltre, svolta stilistica a parte, Cederlund fallisce qui nell’impresa di rivelarsi un songwriter maturo e completo tanto quanto il suo vecchio amico Andersson. Aldilà del fatto che siano più o meno personali ed heavy, tantissimi pezzi fanno fatica a rimanere in mente. Salviamo giusto “Addiction King” (anche per via del simpatico videoclip), “Supreme Good” e “Close But Nowhere Here”. Il resto è un rock sì venato di varie influenze, ma sempre e comunque spento e dozzinale, che riusciamo qua e là a ricollegare al nome Entombed esclusivamente grazie alla voce di Petrov, il quale, non essendo certo un cantante di razza, non ha ovviamente potuto fare i miracoli in termini di varietà delle linee vocali. In sintesi, un grande, dolorosissimo passo falso, desolante già a partire dalla copertina.