7.5
- Band: EPITAPH
- Durata: 00:41:01
- Disponibile dal: 20/12/2024
- Etichetta:
- My Kingdom Music
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Con gli Epitaph e il loro nuovo album “Path To Oblivion” è possibile concedersi un emozionante tuffo nella storia del metal tricolore.
I veronesi possono vantare, tra l’altro, veri e propri quarti di nobiltà poiché la sezione ritmica, composta da Mauro Tollini alla batteria e da Nicola Murari al basso, partecipò nel 1985 alla realizzazione di quel “Land Of Mystery”, primo disco dei Black Hole, che negli anni è diventato un vero e proprio cult del dark doom psichedelico; il primo sempre in veste di batterista, mentre il secondo in qualità di chitarrista.
In questo nuovo lavoro, dopo l’intro strumentale di rito si parte alla grande con “Embraced By Worms”, dal riff portante molto vicino alla leggendaria “The Well Of Souls” dei Candlemass: ben strutturata, trascinante e orecchiabilissima, è veramente un ottimo biglietto da visita e uno dei pezzi più riusciti del lotto. Il resto dell’album comunque non è da meno: emblematica è “Nameless Demon”, caratterizzata da un incedere più lento e da inserti atmosferici che ne impreziosiscono la struttura, come succede anche nella parte centrale di di “Condemned To Flesh” e nella chiusura di “Fall From Grace” alla fine del disco; “Kingdom Of Slumber”, primo singolo, è invece il brano che in generale sembra più vicino alla storia del dark sound italiano, da sempre in bilico tra progressive rock e doom metal: veramente riuscito, è capace di dipingere efficacemente con gli strumenti le immagini oniriche descritte dal testo.
La voce del nuovo cantante Ricky del Pane può essere accostata a quelle dei Candlemass e dei Black Sabbath, e in particolare a Robert Lowe, storico frontman anche dei maestri texani Solitude Aeternus: ben impostata, tecnica, incisiva, davvero una prova notevole. Pregevole anche la spettrale copertina ad opera della giovane artista transilvana Luciana Nedelea.
Vale spendere ancora due parole sui rapporti di questa terza opera degli Epitaph con il cosiddetto dark sound italiano, del quale è doveroso citare almeno un paio di figure chiave come Antonio Bartoccetti, noto per le sue creature Antonius Rex e Jacula, e Renato Carpaneto in arte Mercy, cantante di Malombra e Il Segno del Comando (oltre che dei neofolk Ianva), e la cruciale casa discografica genovese Black Widow Records, con storica sede in via del Campo: rispetto ai due precedenti lavori, “Crawling Out From The Crypt” del 2014 e “Claws” del 2017, sembra che questa filiazione vada via via scemando da parte dei Nostri; ancora riscontrabile nei momenti atmosferici dei pezzi più lunghi e articolati e nei due brevi strumentali a inizio e metà disco, risulta lievemente ‘normalizzata’ e internazionalizzata, soprattutto per via del cambio di cantante.
Era infatti nello stile vocale di Emiliano Cioffi, decisamente new wave e che rimandava immediatamente a Mercy, che potevano essere riconosciute le caratteristiche peculiari di quel suono prettamente nostrano; Ricky dal Pane, autore di una prova notevole, come già sottolineato, è invece inconfutabilmente più metal in senso classico. Il leggero allontanamento dalla componente legata alla tradizione del dark sound italiano è riscontrabile anche nell’approccio al songwriting, molto essenziale, omogeneo e meno progressive, che se da un lato fa perdere un po’ di quell’alone di mistero che caratterizza la storia degli Epitaph, dall’altro rende l’ascolto decisamente più scorrevole.
Il mondo va avanti ed è anche comprensibile che la proposta degli Epitaph possa mutare lievemente con il passare del tempo, e che i veronesi abbiano optato, complice anche l’avvicendamento al microfono, per una piccola sterzata verso il doom metal più canonico e verso un suono più compatto. Ciò non significa che gli Epitaph si siano ‘modernizzati’: curiosamente, potevano risultare più attuali i due album precedenti, mentre “Path Of Oblivion” sembra più rifarsi alla tradizione doom ottantiana, della quale è anzi un personale e accorato tributo.
Tuttavia è ancora possibile riconoscere nelle trame dell’affiatatissima sezione ritmica e nelle ben studiate digressioni strumentali che arricchiscono le canzoni – assolutamente validissima anche la prova del chitarrista Lorenzo Locatelli – quell’ancestrale magia che ha dato lustro a “Land Of Mystery” dei Black Hole, che ancora oggi non finisce di stupire nuove generazioni di ascoltatori che si appassionano al versante più mistico e sepolcrale – in tutti i sensi ‘underground’ – del vasto universo doom.
Un’altra eclatante prova da parte di una delle colonne portanti del metal italiano più oscuro, che continua a non fallire un disco e perpetuare degnamente, con coraggio e rispetto, un’eredità di certo ingombrante.