7.0
- Band: EREMITE
- Durata: 00:36:53
- Disponibile dal: /03/2013
- Etichetta:
- Taxi Driver Records
Breve ma già sufficientemente movimentata la storia dei genovesi Eremite: nati come progetto solista del polistrumentista Fabio Cuomo, che ha scritto e registrato da solo il presente lavoro, hanno poi fatto registrare l’entrata di Giulia Piras (basso) e di Luca Fiorato (batteria) che in seguito lascia la band, divenuta ora stabile come duo e completata da Francesco La Rosa (Meganoidi) in sede live. “Dragonarius”, pubblicato nel marzo 2013, è certamente un disco particolare, sia perché essendo il parto di una sola persona ne racconta un particolare momento di “autoanalisi”, sia perché si pone come possibile ibridazione tra sludge e black metal (affermazione, questa, certamente affetta dall’approssimazione del caso): pur rimanendo l’essenza pachidermica, dunque la possanza, del primo, atmosfere gelide e distanti ne sostituiscono il tipico calore; questo risultato può ottenersi in varie modalità, ad esempio distorcendo certe soluzioni (riff, tempi) tipicamente sludge oppure inserendo intarsi di tastiere spettrali, che hanno a che fare da vicino con i lidi più depressivi della scena black. Siamo convinti che l’ibridazione sia riuscita in maniera convincente e che la chiave di tale successo risieda nel gusto melodico di Fabio Cuomo, poiché riesce a fare da trait d’union tra due generi che non hanno molto in comune, se non un certo modo di intendere l’uso delle melodie (molto generalmente, volte ad evocare desolazione). Questo album conta due soli brani lunghissimi, strutturati come delle vere e proprie suite progressive, dal momento che annoverano diversi movimenti assemblati in maniera organica, grazie alla cura di cui gode il songwriting: se – per via della sua distante grevità e delle sue strutture ragionate – “Contemplating The Silent Monolith” può essere paragonata ad un lungo viaggio attraverso le proprie emozioni, quelle più fuligginose, per arrivare a dominarle ed esprimerle in maniera ordinata fino al loro superamento (che pare rappresentato dall’intensificarsi – sul finire – della frequenza con cui spuntano inserti melodici), in “Not Of This World” le atmosfere si fanno letteralmente livide, a causa di pesanti percosse ritmiche che vengono accompagnate dalle frustate tipiche del black meno transigente; a metà, poi, il brano cambia per divenire un gorgo vorticoso ma “apatico”, assecondando strutture più lineari che in precedenza. L’esperienza d’ascolto è particolarmente “estenuante”, per via di un’emotività compressa e tesa che, da un lato, vi porrà preda dell’ansia (smanierete di uscire dal tunnel!), mentre dall’altro difficilmente vi porterà alla noia. In definitiva “Dragonarius” è un esordio tanto capace di mostrare i muscoli, quanto una certa glaciale vena emotiva: vi consigliamo di ascoltarlo, se avete a cuore ogni forma d’espressività monolitica e mastodontica, mentre noi aspetteremo curiosi di sapere quale situazione implicherà, al livello di songwriting, l’allargamento permanente della formazione.