7.5
- Band: ERSHETU
- Durata: 00:42:56
- Disponibile dal: 27/10/2023
- Etichetta:
- Debemur Morti
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Il concetto mitologico dell’oltretomba, in tutte le sue innumerevoli raffigurazioni, ha da sempre esercitato un fascino fortissimo su di un genere come il metal, che nella sua storia ha dato voce e suoni ai concept più vari, che vanno dal Tuonela finnico, all’Helheim nordico, fino all’Ade greco e romano, giusto per citarne qualcuno.
Con questo “Xibalba”, primo lavoro degli Ershetu, ci spostiamo invece nella zona mesoamericana, terra di origine della cultura Maya, per la quale Xibalba ne rappresentava, appunto, il regno dei morti.
Gli Ershetu nascono nel 2021 da Sacr e Void, quest’ultimo responsabile dell’etichetta Debemur Morti, per dar vita ad un progetto che fonde il black metal con l’approccio drammatico e narrativo delle colonne sonore, per parlare della morte secondo le varie culture, un album alla volta. Un concept senza dubbio ambizioso, ma non totalmente nuovo, basti pensare ai due meravigliosi volumi di “The History Of Death & Burial Rituals” dei Death Karma.
In questo Sacr e Void si avvalgono di due ospiti dalla personalità parecchio elevata: Vindsval (Blut Aus Nord e Forhist) al basso e chitarra e Lars Nedland – o Lazare, se preferite – già con Solefald e Borknagar.
Il risultato finale è un originale black metal che molto deve a una band come Limbonic Art nella sua ricerca della densità degli elementi sinfonici, che risultano di fatto la base di partenza dell’ intera scrittura, inglobando però le armonie e gli strumenti della cultura centroamericana. Tutto “Xibalba” è caratterizzato da una densità spesso soffocante e sono infatti rari i momenti in cui si respira, tanto elevata è la stratificazione di suoni in cui le chitarre stesse vengono usate per creare texture invece dei classici riff.
I ritmi tribali ed inquietanti di “Enter The Palace Of Masks”, che nella sua struttura è molto di più di una semplice intro, apre a “From Corn To Dust”, che si sviluppa tra le complesse linee vocali di Lars – le quali ricordano i Solefald dell’ultimo periodo – un substrato di rumori, chitarre e il flauto, che risulterà ricoprire un ruolo fondamentale nell’economia del disco.
Sullo stesso livello sono “The Place Of Fright” e “Cult Of The Snake God”: ancora più drammatiche, tribali e sinfoniche, con i loro inserti di fiati ed archi che trasformano l’ascolto in un’esperienza quasi cinematografica. A chi ha visto “The Fountain” di Aronofsky verrano in mente le scene di battaglia ambientate nell’epoca Maya.
I toni si abbassano leggermente con “Hollow Earth”, il momento più variegato e strettamente legato al black metal, con i suoi blast-beat costanti ma mai parossistici e un’atmosfera più epica e meno claustrofobica, che si snoda tra riff alla Limbonic Art e meravigliosi stacchi orchestrali e folkloristici. Ci pensa poi “Tunkuluchú”, forse il brano più cupo del disco, a chiudere “Xibalba” con i suoi intrecci ritmici alla Blut Aus Nord e un andamento molto più marziale, avvolto da arrangiamenti orchestrali che suggeriscono una catastrofe imminente.
Il pregio più grosso degli Ershetu è insomma quello di creare un suono denso e originale, che si sposa alla perfezione con il concept espresso, tanto da diventarne una perfetta colonna sonora. “Xibalba” è un disco che esprime in pieno la sua vera bellezza nella seconda metà, in cui vengono alla luce elementi più variegati e che fa da contraltare ad una prima parte in cui le complesse linee vocali e la densità degli arrangiamenti rischiano di rendere i brani un po’ troppo simili tra di loro. Al netto di questo, siamo però di fronte ad un progetto estremamente interessante, non banale, che non può mancare tra gli ascolti di chi mastica determinati suoni. Ora resta da vedere se le (ottime) premesse verranno confermate nei concept successivi.