7.5
- Band: ESOCTRILIHUM
- Durata: 00:40:49
- Disponibile dal: 17/06/2022
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
Spotify:
Apple Music:
È passato ben un anno dall’ultimo full-length di questa prolifica one-man band francese, sebbene l’attesa sia stata in realtà parzialmente compensata da un EP di durata non indifferente.
Come sempre Asthâghul riesce a mantenere una sua direzione chiara per procedendo con una certa evoluzione: continuano infatti ad essere presenti certe ispirazioni industriali, grazie anche alla batteria elettronica che assume una forma sempre più smarcata dalla potenziale componente umana. L’umanità, o la vita stessa, non sembrano del resto parte degli interessi del Nostro, molto più bravo a evocare terrori indicibili e sovrannaturali. Le linee vocali danno sempre l’impressione di un cumulo di detriti e macerie pronti a piombare sull’ascoltatore straziandolo; anche con soluzioni peculiari e distinte all’interno dello stesso brano, con passaggi frequenti dal growl a scream più o meno elaborati. I brani, nel complesso, offrono un caos primordiale, spesso dissonante, sicuramente estenuante, sebbene meno faticoso di altre uscite precedenti, anche grazie a una durata decisamente contenuta rispetto al solito. Dopo un avvio decisamente d’impatto, i momenti più significativi si concentrano nella seconda parte del disco. “Tharseîdhon” parte sincopata e quasi marziale, prima di diventare un’ulteriore prova di tetragonia, quasi brutal death nei suoni, ma con una variegata prova vocale (come detto sopra) a tenere vivo l’interesse e la strizzata d’occhio ad altri lidi estremi. La seguente “Scaricide” ne sembra la sorella in chiave minore: più cupa, più lenta, non meno crudele e straziante; in questa sequenza di brani si ha quasi l’impressione che gli Esoctrilihum siano passati dalle parti dei Portal, assorbendoli, digerendoli e vomitandoli sotto effetto di psicofarmaci.
“Sydtg” è forse il brano più disturbante, quasi doloroso, con un cantato cavernoso dall’Oltretomba che Asthâghul va serenamente a visitare come noi ci alziamo per bere un bicchiere d’acqua. Le tastiere tornano in evidenza praticamente solo in questo brano, con un suono lugubre, orrorifico e insieme antico ed esaltante, come una divinità mostruosa riemersa dal passato da cui si venga ipnotizzati. Forse meno dirompente del precedente “Dy’th Requiem For The Serpent Telepath”, ma pur sempre una prova che conferma la concretezza di questo progetto.