7.0
- Band: ESOCTRILIHUM
- Durata: 00:55:52
- Disponibile dal: 19/10/2018
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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Prolifici come mostri senza tempo, gli Esoctrilihum tornano a distanza di poci mesi dal loro ultimo full-length fedeli al loro immaginario lovecraftiano, perfettamente restituito in musica; anche i brani di questo “Inhüma” sono devastanti discese in un altro mondo fangoso e senza aria, ma del resto le bestiali presenze da loro evocate non sembrano essere basate sul carbonio e sulla necessità di ossigeno. “Incursus Into Daeth Hausth” ci scaraventa subito nelle usuali atmosfere votate al più selvaggio blackened death, anche se mostra non poche novità; il riffing serrato diventa nella seconda parte del brano dotato di notevole melodia, che accompagnata a un cantato meno soffocato rimanda alla vecchia scuola floridiana, così come anche la seguente “Blodh Sacremonh”, versione al fulmicotone dei migliori Deicide (quella, cioè, che non ascoltiamo più da tempo); mentre altri episodi guardano verso i grandi nomi svedesi, ivi comprese le derive più accattivanti, se così possiamo dire di un lavoro che non serra mai la presa al collo dell’ascoltatore: “Dramath Ürh” o “Aevendh Sadh”, l’episodio al tempo stesso più black metal presente. I frequenti assoli puliti e in midtempo donano nel complesso molto dinamismo a un album che non risparmia certo le sfuriate cieche, e dove vengono raddoppiati anche da puri accordi di tastiere rendono la putrida atmosfera generale ancora più spaventosa (“Exhortathyon Od Saths Scriptum”, “Ƨinsnhy’lh”). La maggior razionalità nell’uso di synth & co. è peraltro a nostro modo di vedere il vero passo avanti compiuto con questo terzo album, che risulta molto più compatto e focalizzato, senza mostrare quei momenti di calo che facevano capolino in precedenza. Menzioni d’onore per le curiose “ Yhtri’lhn (The Last Age Of Ukhn)” e Lörth Volth Lynhnzael (Lost In The Storm Of Itshka Blood), ove le sezione d’archi campionate riescono a scartavetrarci la spina dorsale, in perfetto equilibrio tra violenza e un certo gusto classico – soprattutto nel secondo caso, che rappresenta un’ottima chiusura di un album lungo ma niente affatto noioso. E se vogliamo elencare tutti gli elementi di pregio, l’album è anche impreziosito dalle grafiche di Wrest, il noto e tormentato artista (anche mastermind dei Leviathan, come risaputo), che riesce a rendere molto efficacemente il contenuto morboso dell’album.