8.0
- Band: ESOTERIC
- Durata: 01:38:15
- Disponibile dal: 08/11/19
- Etichetta:
- Season Of Mist
- Distributore: Audioglobe
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Questa volta ci sono voluti otto anni per riaprire le porte sull’universo Esoteric. Un’attesa che può apparire snervante, ma che all’ascolto del nuovo disco assume un significato molto più semplice: coerenza. La musica degli Esoteric è lenta, avvolgente, si muove sinuosa e si inocula nelle orecchie richiedendo attenzione, e quindi dobbiamo probabilmente ringraziare questi lunghi intervalli tra i loro lavori, che sembrano quasi darci la misura del tempo necessario ad assorbire il carico di note e sensazioni contenute tra i solchi. Oltre che, probabilmente, questi lunghi anni sono l’intervallo temporale che serve a questi alieni per entrare in risonanza con noi.“A Pyrrhic Existence” è un disco che travalica i generi, non fatevi ingannare dalle etichette: è puro doom, ma è anche pura psichedelia, è un lavoro che dietro l’apparente durezza sa accarezzare l’anima; da questo punto di vista, il primo elemento da sottolineare è come si ripeta il miracolo delle linee vocali, come sempre forti e aggressive nel sound, eppure perfetto connubio emozionale ai tappeti sonori messi in campo, al punto che si trasfigurano in qualcosa di molto delicato e intimista. Il percorso da affrontare è lungo, oltre un’ora e mezza di durata, ma la distanza percorsa è infinita e cangiante ascolto dopo ascolto. Si parte con “Descent” che è, come da nome, una discesa in territori inesplorati, maestosi ed emozionanti. Un brano che si attesta a quasi ventotto minuti di durata con movimenti caleidoscopici, in grado di esplorare tutto lo spettro percettivo. Ci sono i soliti tempi dilatatissimi, che a volte sfiorano il miracolo, specie nel lavoro di Joe Fletcher dietro le pelli; poi, droni delicati che puntano a ipnotizzare e non ad assordare, e infine arpeggi che paiono spuntare dal nulla in questo contesto di apparente desolazione, ma in realtà ricchissimo. Il finale innesta su un’ossatura dilatata un lungo e suadente solo di chitarra che guarda certo più a David Gilmour e Roy Harper che non ai maestri del doom, fino a perdersi in una nebbia sonora evocativa che introduce la successiva “Rotting In Dereliction”. Un brano per certi versi più lineare, anche se ai successivi ascolti ci si rende conto di essere solo sopraffatti dalla potenza della prima traccia; sono in realtà gli stessi paesaggi sonori, resi solo più soffocanti dalla batteria più sferzante e da melodie un po’ più dissonanti. La chiusura del primo disco è affidata a “Antim Yatra” che, nella sua breve durata, è il trionfo del lato più intimista e distaccato insieme della band: emozioni trasposte in un crescendo di sintetizzatori che vengono da così lontano da non avere una collocazione spazio-temporale. È la colonna sonora di quando si giunge al cospetto di un paesaggio mai visto o di templi di divinità aliene, a metà strada tra Aguirre e Prometheus. Nel prosieguo dell’ascolto si riduce un po’ la predominanza dei synth, e così il secondo disco presenta tre brani che potremmo definire più canonici, anche se di banale e scontato non c’è mai nulla, nel lavoro della band di Birmingham. Da “Consuming Lies”, pezzo molto cadenzato che non trascura comunque intermezzi più diafani, passando per un puro manifesto funeral doom (non a caso intitolato “Culmination”), gli Esoteric ci portano per mano alla conclusione di un viaggio che, partito dalle stelle, arriva a lancinare i nostri cuori. “Sick And Tired” è pura introspezione, quella che unisce lacrime, malinconia, riflessioni profonde. Ancora una volta è la chitarra solista a dare particolarmente voce alle emozioni, intrecciandosi a una delle più cavernose interpretazioni vocali di Greg Chandler: un compositore che ha saputo sicuramente circondarsi, negli anni anni, da musicisti eccellenti, ma che nel suo ruolo di assoluto mastermind dietro la band si conferma un genio e un poeta di rara caratura.