7.0
- Band: ET MORIEMUR
- Durata: 00:53:17
- Disponibile dal: 20/03/2018
- Etichetta: Transcending Obscurity
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Lingue arcane e dimenticate, solenne tristezza e lirismo: tanto basta agli Et Moriemur, quintetto di Praga dedito al doom nelle sue sfumature più funeree e tremebonde, per creare un disco in grado di restituire lo spleen delle giornate più uggiose e tristi. Su un sostrato di note dilatate e dolenti si innestano pianoforti malinconici, le urla strozzate e rauche del cantante (e pianista) Zdeněk Nevělík, cori gregoriani di scuola Batushka, flauti, organi da chiesa e intermezzi declamati; un bel compendio di sconforto e mestizia musicale, in un’inedita veste anni Avanti Cristo. Perchè – sebbene le note più grevi e pesanti del metal ci resistuiscano spesso scorci di cimiteri vittoriani e chiese sconsacrate – i cinque cechi hanno sapientemente cesellato il terzo full-length della loro discografia di atmosfere e rimandi anche alle culture latina e greca, a partire dal titolo: gli epigrammi (traduzione appunto del titolo del disco) erano dei brevi componimenti poetici di vario argomento che durante l’età ellenistica e romana conobbero il momento di massimo splendore. Tra essi, quelli di argomento funerario (toh!) ebbero maggiore successo e diffusione; perciò crediamo che il titolo (come anche la copertina, raffigurante il momento del compianto funebre in una decorazione vascolare) sia ben poco casuale, guardando anche alla durata media dei pezzi (tranne la conclusiva “In Paradisum”, nessuno supera i sette minuti), molto ridimensionata rispetto alla media del genere. E così, troviamo litanie baritonali diluite ora insieme alla batteria concitata e urla aspirate, sconnesse da oltre l’Acheronte come nella splendida “Communio”, talvolta con i riff pulsanti di disperazione (ascoltare “Requiem Aeternam” e “Sanctus” per farsi un’idea) del duo Aleš Vilingr/Pavel Janouškovec. in un santuario di cordoglio, antiche formule funerarie e cupi, lentissimi, ritmi cadenzati che faranno la gioia (si fa per dire) degli ascoltatori del doom più maestoso e granitico. Gli Et Moriemur riescono ad omaggiare la galante decadenza degli Skepticism e la quieta malinconia sconsolata dei Saturnus senza risultare approssimativi, scontati o insipidi: si evince dai cinquantatre minuti di questo “Epigrammata” come (complice anche un’attenta produzione) ci siano anni di esperienze pregresse e studio dietro i cinque musicisti (tutti impegnati in passato con altri gruppi oltre al presente), oltre ad un’ispirazione fruttuosa in fase compositiva. Da tenere nelle casse dello stereo durante i temporali pomeridiani della primavera che incombe.