7.5
- Band: ETERNAL CHAMPION
- Durata: 00:37:24
- Disponibile dal: 06/11/2020
- Etichetta:
- No Remorse Records
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Gli Stati Uniti hanno da sempre un rapporto conflittuale e complicato con l’heavy metal classico. Stupisce – e a ben vedere non dovrebbe – come una Nazione così aperta alle contaminazioni, capace di produrre e imporre nuovi trend su scala mondiale, sia da sempre la patria indiscussa di grandissime formazioni epic metal. Ed è proprio nel solco della tradizione che si inseriscono i cinque di Austin, convinti continuatori della lezione impartita dai primissimi anni ‘80 da gente come Manilla Road, Manowar, Warlord, Omen e Cirith Ungol e poi ripresa dalle nuove leve Visigoth e Crypt Sermon.
Impossibile sbagliare, già a partire dal nome: Eternal Champion è l’eroe creato dalla penna di Michael Moorcock, il cui compito è di mantenere l’equilibrio cosmico tra forze le opposte del caos e della legge. Se poi analizziamo brevemente la copertina di questo “Ravening Iron” vediamo che i cliché del genere ci sono tutti: un drago, una pila di teschi, alcuni serpenti, la sala di un trono e due avvenenti donzelle molto discinte (una delle quali in catene), il tutto in uno stile che strizza evidentemente l’occhio al maestro Frank Frazetta. Manca giusto un muscoloso guerriero che brandisce una spada luccicante (niente paura, per quello vi rimandiamo al full di debutto, “The Armor Of Ire”). Va da sé che musicalmente tutti questi elementi si traducono in un metal classico dalle forti sfumature epiche, solido e roccioso fin dalle prime note di “A Face In The Glare”, una colata di metallo fuso che beneficia di un’ottima struttura ritmica, caratteristica che consente all’intero album di conservare un ottimo tiro, senza cali di tensione. Non mancano i rallentamenti, pensiamo a “Skullseeker” o alla conclusiva “Banners Of Arhai”, traccia dalle forti tinte doom. Poche, pochissime le sorprese – ma dai? – tra le quali segnaliamo la strumentale “The Godblade” che pesca a piene mani dalle colonne sonore di film e videogiochi anni ‘80, con un synth a farla da padrone (unica nota involontariamente trendy, visto il rinnovato interesse per questo tipo di sonorità, esploso grazie alla fortunata serie TV “Stranger Things”). In compenso riff e assoli sono solide certezze, aspetto fondamentale eppure per nulla scontato in un genere nel quale si potrebbe affermare che è già stato detto tutto almeno vent’anni fa.
Ciò che lascia piacevolmente soddisfatti è la qualità di scrittura di un disco che ha come unico punto debole l’assenza di un pezzo in grado di stagliarsi alto sulla vetta, come spesso accade negli ultimi anni e che marca una sostanziale differenza rispetto alle produzioni dei gloriosi anni ‘80. Al netto di questa consapevolezza non possiamo che goderci la freschezza di quest’ultima fatica dei paladini della tradizione texani.