8.0
- Band: ETERNAL CHAMPION
- Durata: 00:34:18
- Disponibile dal: 27/09/2016
- Etichetta:
- No Remorse Records
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“The Armor Of Ire” degli Eternal Champion è uno di quei dischi con i quali si entra in confidenza, in sintonia, in poco più di un battito di ciglia. È quel famigerato ‘tocco’ che un po’ tutti i musicisti vorrebbero avere, quella capacità comunicativa che permette di superare barriere, pregiudizi, pigrizie di chi se ne sta di fronte ai diffusori e non è detto sia nella propensione d’animo adatta per farsi affabulare da quanto sta udendo. In poco più di mezz’ora il quintetto texano, sbucato praticamente dal nulla – preceduto soltanto da un demo, un singolo e uno split – concentra un talento spiccato per l’epicità ariosa e di pronta ricettività. Figli di un certo tipo di underground americano, che rispetto alla dimensione europea, per tanti motivi, sa essere ancora più oscuro e primitivo, lontano da qualsiasi tipo di ribalta e destinato a pochi discepoli, gli Eternal Champion mostrano una maturità da veterani. Come se non avessero fatto altro nelle loro vite che pensare, scrivere, riscrivere e perfezionare la formula perfetta per far battere a colpi fortissimi i cuori degli epic metaller su entrambi i lati dell’Oceano Atlantico.
Ci sono riff galoppanti, una sezione ritmica tempestosa e carichissima, le soliste ispirate e avvampanti di un ardore eroico, c’è soprattutto una voce che dovrebbe entrare nelle case di ogni metalhead che si rispetti. Lievemente nasale – che fa molto epic metal d’antan, ammettiamolo – alta, duttile, la vocalità di Jason Tarpey prende in parte dall’avventurosità rustica di un Mark Shelton e di un Mike Scalzi, dall’altra si esalta nel portarsi verso tonalità più affini a un contesto power metal. Linee vocali che evocano magia, mondi fantastici e imprese favolistiche, ancor prima che battaglie cruente e oscuri destini, riecheggiando così in modo credibile la saga del Campione Eterno, cui monicker e testi fanno riferimento. Lo sviluppo dei pezzi, sei veri e propri oltre a due strumentali, non presenta indugi né complessità particolari. Sono le chitarre a far da traino e a intersecarsi a una metrica mirabile nel portare del vivo dell’azione e a tenere sul chi va là per l’intera durata dei brani. L’aria è tagliente, frizzante, nelle note di “The Cold Sword”; inconfondibile, fin dai primissimi secondi, la percezione di entrare in una dimensione mitica, che stia per accadere qualcosa di fantasmagorico e ci sia solo da farsi cullare da melodie che, nel loro favellare, richiamano anche la dimensione più epica del catalogo NWOBHM, Iron Maiden nient’affatto esclusi.
Tarpey combatte, trascina, rilancia, si mette idealmente alla testa di una coraggiosa armata e va all’attacco, fiero e indomabile, spavaldo ma consapevole della sua forza. È molto una questione di saper cogliere l’attimo, di calarsi nel ritmo della canzone, sapersi inserire nei punti giusti e di slanciarsi e ritrarsi intelligentemente secondo il fluire della musica, ciò che dà una marcia in più alla band americana. Che ci sia da abbandonarsi alla drammaticità di una “Invoker”, gonfiare i muscoli nelle cadenze burrascose di “I Am The Hammer”, correre veloci, difesi dallo scintillio della propria armatura, sul riffing in crescendo della titletrack, il gruppo dispensa magia rara. Lo fa con quella praticità stradaiola, molto concreta, che potevano avere gli Omen e che molto contribuisce alla grandezza di un’altra piccola gloria moderna come i Crypt Sermon. La produzione ottantiana ma tutt’altro che anacronistica, la pulizia esecutiva, l’agilità dei singoli passaggi fanno di “The Armor Of Ire” un album di heavy metal a tutto tondo, importante per capire quanto il culto dell’epic metal sia ancora ben vivo e in salute, se maneggiato da musicisti di questo calibro.