
7.5
- Band: ETERNAL WHITE TREES
- Durata: 00:47:27
- Disponibile dal: 21/04/2023
- Etichetta:
- My Kingdom Music
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Quale migliore colonna sonora abbinare a questo ancor fresco ed incerto, lungo abbrivio di primavera, se non un ottimo disco italiano di sonorità plumbee e nostalgiche, dal titolo eloquente, retrò il giusto ma anche coprente uno spettro di sensazioni ed emozioni davvero senza tempo alcuno?
E’ un’unità d’intenti molto riuscita, difatti, quella che ha portato tre personaggi della scena estrema siciliana a mettere insieme le forze per creare un nuovo progetto dall’identità assolutamente definita e capace di sorprendere fin dall’esordio che vi stiamo presentando ora. “The Summer That Will Not Come”, proprio come un’estate che non verrà, introduce al mondo gli Eternal White Trees, terzetto del catanese che, nonostante la provenienza, dimostra una rara sensibilità nell’approcciare ed incanalare umori e atmosfere solitamente ricordanti lande scandinave, nordiche o, comunque, certo non soleggiate. D’altronde il principale fautore del progetto nostrano altri non è che Gerassimos Evangelou, polistrumentista più volte apprezzato per la sua one-man band di black metal atmosferico Lord Agheros. Negli Eternal White Trees Evangelou si occupa della totalità delle voci, mentre Andrea Tilenni (Fear Of Eternity, ex Sinoath) siede alla batteria e gestisce tutto il comparto elettronico; completa la band in maniera fondamentale, alle variopinte chitarre e al basso, Antonio Billé (Anakonda).
Scrivevamo di un’azzeccata unione d’intenti: sì, perchè l’esperienza e le capacità artistiche accumulate nei tanti anni di carriera, l’uniformità della visione emozionale che sta dietro al concept stilistico fanno sì che la musica scaturita da questo debutto sia affascinante, semplice, matura e profonda allo stesso tempo. Le influenze sono infinite, potremmo citare tutto d’un fiato Katatonia di metà carriera, Antimatter, Novembre, i Paradise Lost della fase indie-pop e darkwave (sentitevi la tragica ballata “My Funeral”, nelle cui linee vocali c’è tantissimo Nick Holmes, così come il mesto incedere elettronico rammenta il materiale da “One Second” in avanti), Anathema, Shores Of Null ed in genere tutte quelle band che, dagli anni Novanta in poi, hanno avuto un impatto formante sul doom-gothic e sul dark metal sui generis. Se ne deduce facilmente come “The Summer That Will Not Come” non trasudi novità dai suoi pori e come non ne voglia per nulla trasudare. Eppure, come già evidenziato, l’album suona sia vintage, sia moderno, grazie al suo veicolare atmosfere ancestrali e toccanti, le stesse che sono alla base delle vibrazioni del nostro animo.
Una tracklist che potremmo definire, con accezione positiva, essenziale non toglie nulla alla fruizione di un lavoro che si lascia ascoltare con gran gusto, nè esagera in lunghezze evitabili e intermezzi lambenti la noia: ad esclusione della già citata “My Funeral”, electro ballad deprimente, e della traccia introduttiva “It Comes The Rain”, un arpeggio variato e riverberato in modo sapiente che domina il più classico dei rumori di pioggia in sottofondo, tutte le altre sei canzoni spaziano attraverso diversi gradi di orecchiabilità e commozione, tra elementi sviluppanti trame anche progressive (la chiosa di “Flawless”), ritornelli facilmente memorizzabili – “Reasons” e “Ravens Lady” spiccano subito in merito, con la prima delle due che si caratterizza per arrangiamenti sopraffini di piano e per un lavoro di chitarra magistrale; e ancora, momenti dallo spiccato tenore groovy che regalano una certa marzialità di fondo (sebbene la produzione piuttosto ‘soft’ non lasci passare più di tanto l’impressione di stare ascoltando un disco di musica pesante), e andature semplicemente rock su cui innestare giri alla sei corde di una dolcezza entusiasmante; in questo caso, “The Butterfly And The Hurricane” unisce alla perfezione Katatonia, Type O Negative e ancora Paradise Lost per un compendio gotico da antologia. Per completare il lotto di composizioni ci piace infine citare anche i due brani forse migliori: “Waters” non si allontana dal resto della musica proposta dagli Eternal White Trees, ma ascoltandola speriamo proprio abbiate anche voi un (forse non voluto) forte sentore di melodie e vocalità à la Septicflesh, ovviamente con una dose di violenza e pomposità minore di quello in auge alla band greca; e poi la titletrack, pezzo simbolo del disco e della formazione siciliana, tutto quello descritto finora espresso in maniera altamente evocativa, straziante e, diciamolo pure, scevra da difetti.
Avremmo potuto raggiungere l’otto pieno senza troppi dubbi, ma è anche vero che di dischi di siffatta intensità e bellezza ne abbiamo avuti altri in passato e non sono così rari, per cui eccoci propendere per mezzo voto in meno, anche per dare la possibilità ad Evangelou e soci di potersi superare e migliorare con un secondo lavoro che speriamo non tardi molto ad arrivare nonostante l’estate di mezzo.
Molto, molto bello, da ascoltare prevalentemente quando si è in modalità nostalgica, i benefici si faranno sentire forti ed efficaci.