EVILDEAD – Annihilation Of Civilization

Pubblicato il 11/11/2020 da
voto
9.0
  • Band: EVILDEAD
  • Durata: 00:38:57
  • Disponibile dal: 01/09/1989
  • Etichetta:
  • Steamhammer Records
  • Distributore: Audioglobe

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Vi sono album che, nonostante l’età, risultano ancor oggi più che attuali, non tanto dal punto di vista musicale, quanto piuttosto per i temi affrontati al loro interno. Scenari apocalittici che, come allora, si manifestano all’orizzonte, la previsione di un’imminente autodistruzione della società, l’ipocrisia imperante delle istituzioni religiose, lo stato decadente dell’ambiente, l’incubo di una progressiva ed alienante tecnologizzazione dell’essere umano. Un quadro ‘nightmaristico’ che può benissimo essere utilizzato per rappresentare l’anno domini 2020. E allora, approfittando del loro recentissimo comeback (“United $tate$ Of Anarchy”) siamo andati a ripescare la primissima testimonianza sonora degli Evildead: “Annihilation Of Civilization”, un album che contiene di diritto tutti gli elementi sopra menzionati.
Era il 1989 quando, con un demo ed un EP alle spalle, il gruppo californiano diede alle stampe un full-length che, nel tempo, si è giustamente incastonato tra i classici del genere. Quello che, per l’allora chitarrista degli Agent Steel Juan Garcia, doveva essere un semplice side-project da portare avanti insieme al bassista degli Abattoir, Mel Sanchez, si trasformò in una vera e propria thrash band in grado di realizzare un lavoro capace di stare al passo con autentici capisaldi esplosi in quel periodo: da “Beneath The Remains” ad “Agent Orange”, da “Alice In Hell” a “Extreme Aggression”, sino a “Practice What You Preach”; così, giusto per fare qualche nome. Assoldati Rob Alaniz alla batteria, Phil Flores (anch’egli ex Abattoir) al microfono e, per ultimo, Albert Gonzales come secondo chitarrista, gli Evildead si chiusero in studio per registrare poco meno di quaranta minuti in cui il thrash impatta con l’hardcore, senza tuttavia sfociare nei lidi del crossover, generando così un’unicità stilistica di assoluto spessore e che, per questo motivo, rese ancor più singolare il loro esordio sulla lunga distanza.
Un disco contemporaneo, si diceva: caratteristica che ha investito anche la componente artwork, e per due motivi ben precisi. Il primo, molto semplice, riguarda l’autore della copertina: con la cover di “Annihilation Of Civilization” prese infatti avvio la collaborazione tra Edward J. Repka (avete presente “Scream Bloody Gore”, “Leprosy” e “Spiritual Healing?”) e la band di Los Angeles; un rapporto che si prolungherà fino ai giorni nostri come dimostrato dall’ultimo lavoro firmato Evildead. Il secondo si concentra invece sul soggetto rappresentato dallo stesso Repka: un signorotto dall’aria aristocratica, con tanto di salvietta firmata ‘club-dead’ al collo, sguardo nuclearizzato come i bagnanti che lo circondano, alcuni roditori si dissetano con del buon liquido radioattivo mentre, sullo sfondo, palazzi ormai in rovina lasciano spazio a minacciose colonne di fumo. Un disegno realizzato trentun’anni fa ma che, con qualche leggero ritocco, potrebbe benissimo essere datato novembre 2020.
Un mondo destinato allo sfacelo completo, l’umanità ormai segnata, e cosa fanno gli Evildead? Iniziano la procedura di annichilimento con un gentile omaggio a Sam Raimi e al suo movie-cult dal quale Garcia e compagni presero ispirazione per il monicker da affibbiare al gruppo. “Why have you disturbed our sleep; awakened us from our ancient slumber? You will die” recita il posseduto. Ed è un riff poderoso, abbracciato ad una melodia sinistra, a darci il benvenuto tra le atre foreste circondanti la famosa casa. Uno scenario macabro perfettamente rappresentato dalla schizofrenia ritmica timbrata da Alaniz, su cui si assestano le maligne note della coppia Garcia-Gonzalez, oltre allo stridulo racconto di Flores. Finzione orrorifica che assume, con la titletrack, immediati contorni molto più realistici. Viene chiamata in causa la desolante fine del genere umano, alle prese con l’autodistruzione dalla quale nessuno può sfuggire, tanto meno coloro che si aggrappano a false speranze cristiane. Brano straripante di continui cambi di ritmo: mid/uptempo si alternano sapientemente lasciando spazio ad un refrain dal sapore hardcore, prima di entrare in un tourbillon di riff e assoli in cui sono ancora i due chitarristi a fare la parte del leone. Un mix ben assortito di Slayer ed Anthrax il cui video diventò un classico all’interno del mitico Headbangers’ Ball trasmesso da MTV. Ma è con la successiva “Living Good” (primo dei due brani scritti da Bob Rangel, roadie di Rob Alaniz) che l’asticella qualitativa si alza di livello: l’intro magistrale ed avvolgente ci accompagna verso la prima parte del pezzo, dove un classico assalto thrash consente a Flores di sputare veleno nei confronti del telepredicatore ‘hypocritical faggot‘ James Bakker e della moglie Tammy Faye. E’ comunque la seconda metà a raggiungere apici di follia: dopo una serie di assoli maligni, la ripresa del brano è ancor più estenuante tanto che ognuno dei cinque Evildead sembra schiantarsi a tutta velocità contro il proprio strumento. “Future Shock” rallenta i toni, seguendo se vogliamo la linea intrapresa dalla titletrack: dopo i primi tre minuti giocati su un midtempo possente e trascinante, il pezzo acquista ulteriore rocciosità grazie a notevoli cambi di ritmo sui quali le chitarre di Garcia e Gonzales fanno il diavolo a quattro lasciando l’ascoltatore nell’agonia più totale fino alla dissoluzione finale.
L’annientamento globale non trova pace e con “Holy Trials” (secondo ed ultimo brano scritto da Rangel) si arriva ad un nuovo attacco alla Chiesa, complice diretta di omicidi perpetrati lungo tutta la storia dell’uomo, con particolare attenzione al periodo dell’Inquisizione. Brano stratosferico che trova una maggiore melodia e conseguente fascino a dimostrazione della superba versatilità dei quattro musicisti. Altra hit che conferma l’illimitato valore di un album che ha avuto l’unico difetto di uscire in un momento in cui il thrash, ma tutto il metal in generale, stava entrando nel suo periodo più buio. Proseguiamo comunque il nostro viaggio e prepariamoci ad un vero e proprio inseguimento di riff: “Gone Shooting” è un’altra mazzata in pieno volto. Sinistra ed aggressiva, lancia un forte j’accuse alla giustizia americana, incapace di dare un’ordine alla società e quindi causa di continui scatti di pazzia rabbiosa da parte della popolazione; violenza che, appunto, si manifesta appieno in “Parricide”: è il basso di Mel Sanchez a dare l’avvio ai quattro minuti di un pezzo dai due volti, più introspettivo il primo, completamente esaurito il secondo, a giustificare un titolo che è un programma. Notevole, soprattutto in questa canzone, il lavoro dietro le pelli di Alaniz. Siamo quasi giunti al termine del disfacimento globale ma, prima dell’ultima esplosione, all’appello manca di diritto la sua giusta anticipazione. “Unauthorized Exploitation” è l’ennesima conferma delle qualità tecniche sciorinate dall’act di Los Angeles, con le quali poteva di diritto affiancarsi alle big band di quegli anni senza aver paura di sfigurare. E allora, a mettere definitivamente in un angolo la civiltà ci pensa la letale “B.O.H.I.C.A.” (acronimo di “Bend Over Here It Come Again”): una rasoiata thrash di centoventi secondi in cui i nostri sguinzagliano tutto i propri istinti primordiali, mettendo in guardia la ragazza di turno con un rozzissimo “Beware, i’ll kiss your bush, and spread your cheeks apart”.
Questi erano gli Evildead: una macchina che sfortunatamente s’inceppò ben presto, pubblicando solo un secondo album prima di un silenzio lungo quasi trent’anni. Fortunatamente ci hanno lasciato in regalo una chicca più che devastante.

TRACKLIST

  1. F.C.I. / The Awakening
  2. Annihilation Of Civilization
  3. Living Good
  4. Future Shock
  5. Holy Trials
  6. Gone Shooting
  7. Parricide
  8. Unauthorized Exploitation
  9. B.O.H.I.C.A.
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