7.0
- Band: EVILDEAD
- Durata: 00:34:33
- Disponibile dal: 30/10/2020
- Etichetta:
- Steamhammer Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
Riabbracciati calorosamente gli Heathen, siamo a celebrare, con una certa inquietudine godereccia, il ritorno in azione di un’altra cult band. Stiamo parlando degli Evildead che, con il qui presente “United $tate$ Of Anarchy”, innalzano nuovamente il proprio grido provocatorio dopo ben ventinove anni di silenzio. Quasi tre decenni infatti sono trascorsi dall’ultimo vagito lanciato dal gruppo californiano capitanato dall’ex Agent Steel Juan Garcia: quel “The Underworld”, rilasciato nel 1991, che in un sol colpo non solo non riuscì a replicare la rabbia sprigionata dall’esplosivo debutto firmato “Annihilation Of Civilization” ma, contemporaneamente, diede inizio alla parabola discendente della band culminata con lo scioglimento ufficiale avvenuto due anni dopo. Evildead che nonostante tutto, dopo un primo tentativo di reunion andato a vuoto, quattro anni fa hanno unito nuovamente le forze, ricostituendo la gran parte della line-up originale (quella di Annihilation… per intenderci), con la sola eccezione del bassista Karlos Medina (presente in “The Underworld” tra l’altro) in sostituzione di Mel Sanchez. E allora, a fianco dello stesso Garcia, troviamo Alberto Gonzales come secondo chitarrista, Rob Alaniz alla batteria e Phil Flores alla voce, con il compito di lanciare sulla folla i nove attacchi sociali inseriti nel nuovo full-length. Squadra che vince non si cambia: concetto che vale nello sport, nella musica ma anche a livello artistico, visto che dietro la cover di “United $tate$ Of Anarchy” vi è ancora una volta la mano di Edward J.Repka. E se nei primi due album il simpatico EvilFred si divideva tra la spiaggia e l’ufficio, oggi lo vediamo all’opera, pronto a lanciare un paio di molotov direttamente contro le forze dell’ordine in quella che si preannuncia come una vera e propria guerriglia urbana (in perfetta identità di tempi rispetto a quanto accade in questi giorni).
Tensione che si palesa nell’opener “The Descending”: una sontuosa pedata nel deretano che ci riporta direttamente agli anni che furono; stesse sonorità per le quali gli Evildead avevano a suo tempo attirato l’attenzione degli addetti ai lavori. Ritmi serrati, riff taglienti, sfumature hardcore a condire l’invettiva di Flores contro le forme governative americane (“Every four years, rise of evil“), alternata dai cori d’ordinanza. Elementi che dal passato ritornano sovrani nell’odierno lavoro replicandosi di fatto nella maggior parte dei pezzi proposti. Pur con qualche leggera variante, infatti, da “Word Of God” a “No Difference” (curioso l’intro in salsa jazz) il copione segue uno schema ben preciso, non discostandosi praticamente mai dalla forma del midtempo, pur ben assestato, dove neanche lo stesso Phil riesce a raggiungere i vecchi fasti vocali, rimanendo spesso su tonalità medie senza rilanciare sferzate più acute o quantomeno caratterizzate da una timbrica differente. Una svolta l’abbiamo invece nella parte finale dell’album: ad incendiare l’ambiente, prendendo spunto dalle molotov presenti in copertina, ci pensa prima “Blasphemy Divine” (singolo pronto dal 2011), fulminante e maligna al punto giusto ma è la successiva “A.O.P. War Dance” a trasudare 100% thrash. Quasi sei minuti di maestria sonora, contraddistinta da continui cambi di ritmi, sui quali la denuncia di Flores s’impone imperante nel decadente refrain “War Dance, Zero Chance“. Una bomba al vetriolo ad anticipare la conclusiva “Seed Of Doubt” la quale riprende il tono roboante di “The Descending” inserendo una maggior articolazione stilistica. Cosa aggiungere? Un comeback sicuramente positivo quello portato a termine dagli Evildead: nessuna pretesa di voler emulare le bordate degli esordi; piuttosto la voglia e l’esigenza, soprattutto lirica, di mettersi nuovamente in gioco. Obiettivi più che raggiunti da Garcia e compagni.