6.5
- Band: EVILE
- Durata: 00:48:24
- Disponibile dal: 27/05/2013
- Etichetta:
- Earache
- Distributore: Self
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Puntuali sulla loro tabella di marcia che li vede pubblicare un album ogni due anni, gli Evile tornano alla carica con il nuovo “Skull”. La thrash metal band inglese venuta alla ribalta nel 2007 con il buon debutto “Enter The Grave”, nel frattempo ha allargato a dismisura la sua fanbase, cavalcando l’onda del revival thrash. Una scena che ha visto un sacco di giovani formazioni cimentarsi in riproposizioni più o meno riuscite a seconda dei casi di un sound thrash metal anni ‘80 figlio dei grandi classici marchiati Metallica, Slayer, Anthrax, Exodus o Testament per quanto riguarda l’influenza americana, oppure Kreator, Sodom e Destruction per il versante europeo. Dopo quel debutto convincente seppur poco originale, gli Evile non hanno più saputo convincere a pieno chi scrive, passando per un disco noiosissimo quale “Infected Nations” ad uno poco più che sufficiente qual’è il successivo “Five Serpent’s Teeth”. Il nuovo “Skull” ricalca più o meno l’impostazione proprio di “Five Serpent’s Teeth”, ossia mette assieme la componente veloce e diretta del primo lavoro e il lato più groovy e mid tempo del secondo disco, con pregi e difetti reciproci di queste due facce del sound degli Evile. Da un lato infatti quando i brani puntano sulla velocità e su un approccio più aggressivo, il gruppo riesce a esprimersi al meglio e nascono pezzi da pogo selvaggio come l’irruenta opener “Underworld”, la variegata “The Naked Sun” o la tiratissima e diretta “Outsider”, brani thrash metal vecchio stampo, ben poco originali e derivativi soprattutto di primi Metallica e Slayer ma con un grande tiro e riff spaccaossa. Quando i ritmi invece si abbassano, come già sottolineato in passato, arrivano i problemi. Mid tempo ridondanti su cui pesano soprattutto linee vocali noiose e anonime come nel caso di “Head Of The Demon”, “What You Become” o la conclusiva “New Truths, Old Lies” hanno il solo effetto di far calare di tono il lavoro e invitare l’ascoltatore a premere skip. Da notare ad ogni modo che il gruppo tende a non fossilizzarsi su un solo tempo e anche quando ci si trova di fronte a rallentamenti, spesso le composizioni evolvono in accelerazioni o variazioni di ritmo che in certi casi aiutano ad ovviare alla poca dinamicità del cantato. Ancora una volta quindi ci troviamo di fronte a un lavoro altalenante e che complessivamente si assesta poco al di sopra della sufficienza. L’impressione è che il gruppo anche in questo caso non stato in grado di lasciare le stesse positive impressioni del primo “Enter The Grave” ma a ben vedere quel disco aveva un’arma in piú: un danese di nome Flemming Rasmussen alla produzione che ricordiamo ha messo la sua mano sul sound di capolavori come “Ride The Lightning” e “Master Of Puppets” dei Metallica o “Imaginations From The Other Side” dei Blind Guardan.