8.0
- Band: EXCARNATED ENTITY
- Durata: 00:43:19
- Disponibile dal: 08/09/2023
- Etichetta:
- Nuclear Winter Records
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Finora, non si può certo dire che gli Excarnated Entity abbiano fatto granché per attirare su di sé i riflettori e spiccare all’interno del vasto circuito underground death metal americano. Apparizioni live col contagocce, nessuna vetrina sul web al di fuori di un profilo Bandcamp e un demo – l’ottimo “Stillborn in Ash” del 2019 – pubblicato di primo acchito in sordina, salvo poi essere ristampato con un nuovo remix/remaster dalla Nuclear Winter l’anno successivo.
Oggi, ci ripensa l’etichetta di culto greca a spingere le gesta del quartetto di Portland, e il risultato – nella migliore tradizione di una città che ha già saputo dare i natali a gruppi come Ænigmatum, Cerebral Rot, Ritual Necromancy e Witch Vomit – è quello che ci sentiamo di definire uno dei migliori lavori old-school ascoltati nell’ultimo periodo.
D’altronde, parliamo di una formazione esordiente soltanto sulla carta, composta da musicisti a dir poco esperti e svezzati (non a caso, ritroviamo qui Mike Stone e Dan Fried degli ormai sciolti Triumvir Foul), e tale dimestichezza con la poetica del genere si riflette in un suono definito, maturo e squisitamente viscerale, da cui traspaiono sia l’evidente intenzione di omaggiare un certo tipo di immaginario passato, sia la volontà di fondere gli spunti di una tradizione vastissima in un amalgama a suo modo personale. Ancora una volta, le basi di partenza da cui si eleva la tracklist sono fondamentalmente due, e in entrambi i casi non guardano oltre quanto prodotto nel periodo 1989-1992: death metal e death/doom, in una processione funeraria che odora di bruma, foglie morte e ossa.
Un avanzare ora feroce e ritmato, tra scariche di riff memori degli Asphyx, parentesi opprimenti di marca Incantation e assalti-caterpillar che non possono evitare di ricollegarsi a quelli di un “Realm of Chaos”, ora epico e luttuoso, con le lande spettrali dello Yorkshire – quelle consegnate alla Storia dai Paradise Lost e dai My Dying Bride degli inizi, per intenderci – a materializzarsi di fronte agli occhi nei momenti più uggiosi e melodici.
Proprio sul versante melodico si ravvisa la crescita maggiore rispetto a “Stillborn…”, con lead di chitarra eleganti e sentitissimi che, grazie a poche semplici pennellate, riescono puntualmente a stupire e a spezzare l’andamento dei brani, reindirizzandone i passi su sentieri intrisi di malinconia e struggimento. Non una gara a chi suona in modo più tecnico o criptico, ma una discesa nell’istinto che – complice una resa sonora in grado di restituire l’immagine di un gruppo che suona insieme nella stessa stanza – colpisce al cuore per il suo ardore e le sue atmosfere, sorretta da una scrittura esemplare in termini di efficacia del guitar work e di solidità dell’impianto ritmico.
E se è vero che qualcuno potrebbe reputare il suddetto insieme anacronistico, in parte anche scollegato da ciò che il trend del ‘nuovo’ death metal vecchio stampo è solito produrre a cadenze regolari, ciò che conta – in definitiva – sono i brividi lungo la schiena che episodi come “Irradiated Shadows”, “Corridor of Flame” o “Gallery of Defeat”, con le loro dolenti note sospese nella nebbia, riescono a suscitare. Tra i dischi death metal dell’anno.