8.5
- Band: EXODUS
- Durata: 01:02:16
- Disponibile dal: 11/10/2014
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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La East Coast chiama, la West Coast risponde. Allo straordinario nuovo album degli Overkill arriva subito la ribattuta degli Exodus, per una vera sfida a suon di thrash metal made in USA. Finalmente, dopo aver messo in cassaforte un pacco di soldi grazie all’esperienza da turnista con gli Slayer, Gary Holt ha trovato tempo da dedicare agli Exodus, destinatari della mole di riff che il chitarrista probabilmente non può usare nella band di Tom Araya e Kerry King. Per l’occasione, come a voler fare le cose in grande, gli Exodus hanno richiamato in formazione Steve “Zetro” Souza alla voce, il miglior cantante del gruppo da sempre, Baloff escluso. È finito quindi il tempo di album perfetti per quanto riguarda suoni e canzoni, con linee vocali non all’altezza per colpa di un urlatore qualsiasi quale era Rob Dukes. “Blood In, Blood Out” ci restituisce quindi un gruppo al meglio, in piena forma, con potenza e classe di un tempo, come se gli anni non fossero passati. Si parte quindi con “Black 13”, dopo una intro quasi elettronica di un minuto e mezzo, e si comincia subito in maniera classica: breve preambolo chitarristico e giù con Tom Hunting a percuotere nella maniera possente che lo contraddistingue. Souza arriva poco dopo a donare quella sensazione che finalmente è tutto a posto in casa Exodus. Il puzzle si è ricomposto e l’immagine che ne viene fuori nella successiva titletrack è la perfezione, una delle canzoni più belle degli ultimi anni nel genere. Con uno dei migliori riffmaker del thrash metal, ovviamente Gary Holt, e con uno dei cantanti più carismatici e dotati, velocità e groove si alternano e miscelano per creare composizioni di qualità eccelsa, che mettono al bando le divagazioni moderne ascoltate sugli ultimi due lavori, riportando al “centro del villaggio” la percussione, il mantra del genere. Frenesia e rabbia sono le sensazioni d’ascolto per molti tratti, con i cori a duettare con Souza, Hunting a rullare da sinistra a destra del suo kit e le chitarre velocissime in quei riff circolari tipici. Tracce di modernismo rimangono solo in qualche arpeggio inserito qua e là: ne faremmo a meno, ma tant’è, fermo restando la qualità eccelsa, specie in sede di arrangiamento, dove Holt dispensa la solita maestria. Anche su questo album la durata media delle canzoni è molto alta. Holt deve avere una riserva di riff infinita, di alta qualità, d’annata diremmo, e quindi sarebbe un peccato sprecarne anche solo una piccola parte. Così le canzoni si dilungano, costruite su strutture assolutamente perfette in quanto a bilanciamento fra velocità, pesantezza e tiro. “Collateral Damage” diventerà un classico dopo tre ascolti, con Hunting protagonista del pezzo, così come “Body Harvest”, la composizione più violenta di “Blood In, Blood Out”. Il brano è semplicemente eccezionale in tutte le sue varie parti, un perfetto biglietto da visita degli Exodus 2014 o 1982, fa poca differenza. Non mancano ovviamente poi le tracce in cui predominano riff groovy e l’attenzione si concentra su Souza, il quale si dimostra talentuoso come all’epoca di “Tempo Of The Damned”, ultimo suo lavoro con la band prima del ritorno. “BTK” è la “Toxic Waltz” dei giorni nostri, dal ritornello orecchiabile e dal riffing ruffiano. Il finale è leggermente inferiore qualitativamente alla prima parte, ma si tratta di un’inezia. Alla fine, fregandosene delle leggi del mercato che organizzano carrozzoni come il “Big 4” (che a volte sembrano gite fuoriporta per musicisti attempati oramai abituati a suonare delicatamente) i fan del genere con questo album sapranno benissimo a chi rivolgersi per ascoltare il verbo del thrash metal. Le nuove band non tengono il passo, a dominare sono ancora i “vecchi” e fra questi ovviamente ci sono gli Exodus, che a suon di album confermano ancora oggi di essere fra i migliori, a differenza di altri.