8.5
- Band: EXODUS
- Durata: 00:52:58
- Disponibile dal: 04/10/2005
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Audioglobe
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C’erano molta attesa e curiosità intorno a “Shovel Headed KillMachine”, settima studio release ufficiale dei veterani Exodus. Inprimo luogo perché ci sono sempre aspettative molto alte nei confrontidi una band che ha fatto storia, poi perché il precedente album “TempoOf The Damned” è stato il miglior album thrash degli ultimi dieci anni,ed infine per i numerosi cambi di line up occorsi in seno alla band.Chiunque avrebbe accusato la dipartita di gente del calibro di TomHunting, Rick Hunolt e Steve “Zetro” Souza. Chiunque, tranne Gary Holtche, reclutati i veterani Paul Bostaph e Lee Altus, garanzie di qualitàe professionalità, ha estratto dal cilindro la novità assoluta RobDukes, suo ex-roadie, ora passato dietro al microfono. A questo puntotutti si staranno chiedendo come si comporta il ragazzo: ebbene, Dukesè un vocalist strepitoso! Riesce a ricordare Souza e in alcuni passaggianche il compianto Baloff, senza scimmiottarli inutilmente ed unendoalle sue doti vocali anche un’aggressività degna del miglior PhilAnselmo. Al ragazzo, a quanto pare, non manca nemmeno l’attitudinegiusta per diventare un vero big della scena. Detto doverosamente dellenovità più rilevanti, si può poi passare a descrivere l’album dicendoche gli Exodus si confermano, a distanza di anni luce dall’esordio,come il miglior gruppo thrash attualmente in circolazione, sfornando unlavoro forse meno vario del precedente, ma assolutamente più violento ecoeso, un vero e proprio pugno nello stomaco. Il riffing di Holt èsempre preciso e dannatamente efficace, mentre la piovra Bostaph (unodei pochi in grado di sostituire degnamente il povero Tom Hunting) èuna vera kill machine, ben supportato da un Jack Gibson sempre piùpresente in ogni brano. Il resto lo fa Dukes, con una provaassolutamente sopra le righe, di un’aggressività che forse Steve Souzanon possedeva più. Le prime due tracce sono degli schiacciasassi veri epropri: “Raze” e soprattutto “Deathamphetamine” sono senza dubbioil manifesto degli Exodus del nuovo millennio e possono tranquillamenteporsi allo stesso livello dei classici del passato. “Karma’s Messenger”rallenta un po’ i ritmi, pur rimanendo piuttosto sostenuta e dinamica,con un grande assolo del capoccia Holt. “Shudder To Think” invece è ilclassico mid tempo pesante ai quali la band ci ha abituato nel corsodegli anni. Dopo aver ascoltato l’album ci si rende conto,incredibilmente, che non contiene alcun filler, tutte le tracce sonomeritevoli di stare dove stanno. Tutte le rimanenti canzoni sono dilivello piuttosto elevato, con dei picchi all’altezza di “Going GoingGone”, la traccia che più riporta al passato remoto della band, e delleconclusive “44 Magnum Opus” e “Shovel Headed Kill Machine”: la prima èin assoluto una delle tracce più veloci e tirate mai scritte dalla band(il che è tutto dire), mentre la title track parte inizialmentesparata come da copione (sonosoliti infatti tirare la bordata finale all’altezza dell’ultimatraccia) e alterna blast beat quasi death a strutture che per lentezzae pesantezza sembrano sfociare addirittura nello sludge. “Shovel HeadedKill Machine” è quindi un album da avere assolutamente e che confermagli Exodus ai vertici assoluti del thrash metal, autori ancora unavolta di un vero e proprio capolavoro, accostabile a “Pleasure Of TheFlesh” e “Tempo Of The Damned”. Negli ultimi anni nemmeno gliintoccabili Slayer sono riusciti a tenere il passo di Holt e compagni:ora, come sempre, l’attesa di vederli dal vivo si fa spasmodica.Acquisto obbligato!