7.0
- Band: EYE OF THE GOLEM
- Durata: 00:45:24
- Disponibile dal: 04/10/2024
- Etichetta:
- Octopus Rising
Spotify:
Apple Music:
Nigredo è il primo dei tre stadi del processo alchemico tramandato dalla tradizione ermetica: l’Opera al Nero, la caduta, l’annichilimento che prepara le successive fasi, alla fine delle quali vi sarà la creazione della pietra filosofale, il compimento della Grande Opera. Operativamente si tratta di condurre alla decomposizione e alla putrefazione tutti gli ingredienti alchemici cuocendoli, e macerandoli lentamente, perché la materia deve ritornare al suo stato primigenio, alla condizione del caos originario a cui seguì la creazione, e distruggere gli elementi è l’unica via per poterli poi ricomporre in una sintesi superiore.
È il “Solve e Coagula” citato direttamente o indirettamente in una miriade di album e canzoni metal e non, compreso questo debutto dei bolognesi Eye Of The Golem, intitolato, per l’appunto “Nigredo”.
Un album davvero nero come la pece, che – sia musicalmente che concettualmente – fa fede al titolo: un post-metal che prende a piene mani dai Neurosis di “Through Silver In Blood” e dai seminali Godflesh di Justin Broadrick, tanto che in più di un passaggio pare di sentire proprio una via di mezzo tra il gruppo di Oakland e la creatura dell’ex ragazzo prodigio di Birmingham. Un post-metal battagliero e per nulla rarefatto, con diversi accenti sludge, industrial, noise e psichedelici, capaci di evocare un processo di passione e catarsi.
Al basso, bello ruvido e fragoroso come l’ambito stilistico richiede, si affiancano le chitarre ora intente a macinare riff di stampo puramente ‘post-‘, ora a proporre digressioni noise o psichedeliche che vanno a integrare la proposta; in alcuni frangenti virano quasi sul black metal dalle tinte doom di Darkthrone e Khold; la voce, strumento tra gli strumenti, non spicca dal mix, e ricorda vagamente, oltre che Justin Broadrick e Scott Kelly, anche King Buzzo dei Melvins.
Nonostante le digressioni psichedeliche, l’insieme risulta decisamente più claustrofobico dei tipici gruppi heavy psych, e, per il genere proposto, si nota una certa predisposizione al riff di chitarra, che spesso costituisce la struttura portante delle canzoni, come ad esempio quello riuscitissimo, grande come una casa, della quinta traccia “Quantum Prison”.
Doveroso citare anche il primo pezzo “Black Cathedral”, dove ad un’introduzione post-metal fa seguito una lunga sezione centrale dai toni psichedelici, che sfocia poi in un finale tipicamente sludge; formula che viene a grandi linee ripetuta, ma in maniera più stringata, sulla successiva, altrettanto indovinata, “Starvation”, scelta come primo singolo.
Dal punto di vista compositivo, gli Eye Of The Golem sono assolutamente già maturi e competitivi; ciò che rende un po’ faticoso l’ascolto, o per meglio dire, porta a distrarsi nel seguire l’opera, è il suono generale: da un lato le dissonanze, il rumorismo, l’intransigenza del metal fanno fede all’idea che sta dietro il disco e ne sottolineano l’impostazione, dall’altro tendono a sovraccaricare l’insieme. Niente di particolarmente grave, si parla di una resa sonora normale per l’underground dei decenni passati, quando il post-metal prese forma grazie ai suoi formidabili pionieri, ma al giorno d’oggi è lecito aspettarsi qualcosa di più dagli epigoni di tale suono.
Più che un limite tecnico, potrebbe anche essere una dichiarazione d’intenti, una scelta deliberata, un desiderio di riproporre l’impatto live dell’ensemble, ma il discorso non cambia: è necessario essere impeccabili anche nell’arrangiamento, nella registrazione e nel missaggio per poter offrire un prodotto di livello veramente superiore; tanto più che da qualche tempo l’asticella si è alzata notevolmente.
Un inconveniente che comunque non inficia irrimediabilmente il valore dell’opera, che anzi accende la voglia di assistere a un concerto di questi esordienti bolognesi e la curiosità di seguire l’evolversi del loro percorso musicale.