8.0
- Band: EYEHATEGOD
- Durata: 00:41:56
- Disponibile dal: 12/03/2021
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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E’ ormai chiaro che gli Eyehategod per comporre la loro musica hanno bisogno di accumulare rabbia; quindi, quale occasione migliore del 2020 appena passato per realizzare un nuovo disco? “A History Of Nomadic Behavior” è il risultato di quello che si legge nelle news: la pandemia, le tensioni sociali che hanno creato scompiglio negli Stati Uniti; in particolare, poi, il bersaglio di Mike IX Williams e compagni sembra essere la stupidità del genere umano, con “queste persone che non credono nella scienza e seguono ciecamente bugiardi e ideologie senza senso“. Gli Eyehategod non saranno mai un band politica, ma feroci riflessioni sulla società sono da sempre alla base della loro espressione sonora. L’altro aspetto che caratterizza questo disco è il rapporto con i concerti: live band come poche, i quattro di New Orleans sono in un momento di forma esaltante poiché rodati da anni di tour intensi, successivi alla pubblicazione del loro disco omonimo del 2014; allo stesso tempo, per loro che dalla musica dal vivo traggono linfa vitale, non poter girare il mondo per urlare delle invettive da un palco deve essere parecchio frustrante. “A History Of Nomadic Behavior” non è altro che la somma di tutto ciò: un concentrato di furia e distruzione che non lascia scampo. Per comodità, la loro musica viene definita sludge; in realtà, come in ogni altro loro album, anche qui la formula è contemporaneamente più semplice e più complessa: da un lato, infatti, non è difficile scorgere riferimenti al rock, all’hardcore, al southern, al doom dei Black Sabbath, al punk e al grindcore; dall’altro, come lo stesso Mike ripete spesso, il loro suono non è altro che l’evoluzione lineare e l’estremizzazione del blues delle origini, quello più malsano, primordiale ed inquietante, quello che proprio la loro terra ha visto nascere. E la musica degli Eyehategod esce dalle stesse paludi, minacciosa come un alligatore, a vomitare anatemi contro ogni tipo di stortura. In “High Risk Trigger”, in bilico tra riff sabbathiani e hard rock, i versi “Infection is the way / Disruptive crowd takes aim / Burn down the rail yard house / Destroy the USA” sintetizzano l’Eyehategod-pensiero come meglio non si potrebbe. “Current Situation” si avvicina, nella parte centrale, al noise più cacofonico e disturbante. “Three Black Eyes”, con il suo attacco tipicamente hardcore, è letteralmente devastante, piena di tutta quella sporcizia a cui i nostri ci hanno abituato, mentre “The Trial Of Johnny Cancer” è il momento più ‘pacato’. Si giunge al termine con l’alienante “Every Thing, Every Day” a dare il colpo di grazia ma, tutto sommato, non è solo la negatività a far capolino dai solchi di questo disco. “A History Of Nomadic Behavior” è il racconto di sette anni di caos, in cui molto è andato storto ma ci sono parecchi momenti sono da salvare, prima di tutto la guarigione dello stesso Williams. E’ anche un album più pensato dei suoi predecessori poiché, a causa di diverse peripezie, in alcune parti è stato più volte riscritto e riregistrato; forse anche per questo motivo è più strutturato e complesso rispetto al passato. Come Mike e il suo compagno di avventure Jimmy Bower hanno sempre affermato, la musica degli Eyehategod vuole avere anche un lato positivo o, perlomeno, terapeutico; e ancora una volta ci riesce benissimo.