
8.0
- Band: FACELESS BURIAL
- Durata: 00:36:47
- Disponibile dal: 07/10/2022
- Etichetta:
- Dark Descent
- Me Saco Un Ojo Records
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La carriera dei Faceless Burial prosegue all’insegna di una costante spinta evolutiva e di un desiderio pressoché tangibile di mettersi alla prova, di superare quanto fatto in passato, di trovare nuove rotte per il proprio suono radicato nella tradizione death metal degli anni Novanta. Come una corriera ormai da tempo lasciatasi alle spalle la banchina della stazione, ma il cui itinerario e il cui punto di arrivo risultano sconosciuti tanto ai passeggeri quanto al conducente, la musica del terzetto di Melbourne si rende protagonista dell’ennesima sosta in un paesaggio tutto da scoprire; un’oasi allucinata e allucinante, simile a quella raffigurata nello splendido dipinto di Dan Seagrave in copertina, nella quale un groviglio di soluzioni prese in prestito dalla frangia più elitaria e tecnica del genere plasmano un ecosistema in continuo mutamento, ricco di linguaggi e forme di vita.
Si riparte chiaramente dal contenuto del precedente “Speciation”, uscito in piena pandemia e di fatto mai promosso dal vivo, ma il ‘salto’ fra la suddetta opera del 2020 e questo “At the Foothills of Deliration” è di quelli importanti per intensità e posta in palio, con il gruppo australiano intento ad espandere e affinare una proposta sospesa fra obliquità, ricercatezza e rispetto delle vere origini del filone. Un po’ come Blood Incantation e Tomb Mold, nuovi numi tutelari di questo modo di omaggiare e reinterpretare la vecchia scuola, i Faceless Burial muovono i loro passi da sentieri noti, per poi intraprendere un cammino non lineare che rende il susseguirsi di influenze e spunti assai imprevedibile e accattivante, impilando idee su idee senza mai perdere di vista l’impatto e la coerenza dell’insieme.
Brani vorticosi, sorretti da un guitar work irriducibile e da un’ossatura ritmica tesissima ma sempre attenta all’elemento groove, in cui Stati Uniti e Finlandia si sfidano ipoteticamente a duello in uno scontro febbricitante e visionario, racchiuso da una produzione calda e analogica che esalta la preparazione strumentale degli interpreti. Una fiera del riff e del cambio di tempo nella sua accezione più ingegnosa e refrattaria alla banalità, la stessa delle migliori opere di Adramelech, Death, Demilich, Immolation o Morbid Angel, in cui una cortina fitta e tenebrosa è puntualmente squarciata da andamenti più ‘regolari’, derive prog e moti psichedelici che – una volta entrati in confidenza con lo sviluppo tortuoso della tracklist – aiutano a tirare le fila di un discorso sì impegnativo, ma non per questo saccente o autocompiaciuto. In poco meno di quaranta minuti di musica, “At the Foothills…” porta l’ascoltatore sul piano di una dimensione ora concreta e liberatoria (quando l’incedere dei riff si fa percussivo e orecchiabile), ora metafisica e straniante (nel momento in cui le trame si attorcigliano in spirali cosmiche), sancendo la maturazione di una band che forse non può ancora vantare la classe e il talento di Paul Riedl e compagni, ma che ha indubbiamente trovato il suo posto nello scenario underground death metal contemporaneo. Se continueranno così, facile prevedere che ne vedremo ancora delle belle.