FAITH NO MORE – Sol Invictus

Pubblicato il 19/05/2015 da
voto
7.5
  • Band: FAITH NO MORE
  • Durata: 39:30
  • Disponibile dal: 19/05/2015
  • Etichetta:
  • Ipecac Recordings
  • Distributore: Self

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Partiamo dalla fine. “Sol Invictus” è finito. “Back From The Dead”. Indietro di nuovo dalla fine, insomma. Connesso inequivocabilmente con il passato è con la prima traccia del disco, come un serpente eternamente affamato della propria coda. C’è un sentore, un qualcosa che fa dire “devo risentirlo subito, non posso aspettare, devo essere sicuro che questo disco post-reunion abbia qualche valore”. Era infatti dal consumato “Album Of The Year” che li si aspettava, dopotutto. Ri-partiamo dall’inizio, questa volta. Introdotto dalla suadente title-track e aperto dalla già-nuova hit “Superhero”, “Sol Invictus” fa già capire che i Faith No More, esattamente come li si aveva lasciati più di quindici anni fa, sono tornati, con tutte le felicità e le storture di naso che a questa affermazione possono essere connesse. “Sunny Side Up” ha quei tre minuti in cui Patton fa il crooner, grida, persuade dolcemente, dove la sezione ritmica concepisce il groove con una naturalezza e una ricercatezza encomiabili, e in tre minuti si è già spiegato come si fa ad essere i Faith No More. Mettiamo poi il basso della successiva marcia ansiosa di “Separation Anxiety” e riportiamo le coordinate sulle derive perverse e malate di “King For A Day, Fool For A Lifetime”, rimanendo sempre nelle coordinate di un brano che ha la facilità di ascolto e  la bellezza delle partiture bombate e catchy che difficilmente non fanno muovere le spalle a ritmo di Bottom-Gould. Arpeggi post-punk retró di “Cone Of Shame” riportano i climi su uno dei brani più esemplificativi di questo ritorno discografico: “questi suonano come una volta”. Esattamente come una volta. Si è già convinti del grande stile prima che finisca la canzone, ma è un peccato non sentire il tripudio melodico e ruvido del finale che scorre giù come un bicchiere di buon vino d’annata. Di sicuro non c’è un momento veramente basso nel nuovo album dei Faith No More.  “Angel Dust” e “King For A Day. Fool For A Lifetime” sono lì di fianco che guardano fieri e un po anziani questo nuovo ragazzino mascherato. E ci sembra giusto rimangano personaggi mascherati diversi, diversi di impatto, diversi di spirito, diversi di epoca e ci sembra altrettanto giusto che questo ritorno sulle scene discografiche sia ben lontano da essere insufficiente o tantomeno superfluo. Ci sono i bei pezzi, c’è la ricercatezza, c’è la furbizia di produzione e arrangiamento, ci sono gli anni in più, c’è la classe e c’è la voglia di aver fatto tutto questo, di nuovo. La reunion ha ormai sei anni e il gruppo è di nuovo affiatato, di fama, di soldi (come non si potrà certo negare), di palco e di musica, che è quello che qui si può tornare a sentire di nuovo. Coloro che li hanno sempre ascoltati godranno di nuovo, se saranno in grado di scansare gli idealismi (più o meno giustificati) unicamente volti a vedere la mercificazione del monicker dopo lo iato di anni fa. Coloro che non li hanno mai sentiti vadano a farlo. Magari cominciando dalla fine, perchè no? “Sol Invictus” non lascerà delusi. Una canzone come “Black Friday” non uscirebbe certo fuori se fosse solamente un pro-forma: la schitarrata da spiaggia, il groove di basso e batteria e la voce sono tutti concordi a far funzionare la macchina Faith No More di nuovo. Era rimasta nel garage, con un po’ di polvere sopra; è bastato un soffio e ecco che torna come un nuovo gioiellino a non deludere mai, anche ora che è un modello vecchio. Come afferma Bottum: “Ognuno di noi è ancora parte valida della vita di tutti gli altri, dopo tutto quello che abbiamo passato e dopo che tutto è diventato così difficile “. Eccoli lì ancora con il loro dadaismo lirico e scenico, questa volta tutti in bianco e in un contesto floreale e minimalista. Trent’anni dal primo “We Care A Lot” sono passati in un soffio. “Get the motherfucker on the phone”: eh già, solo un gruppo come i Faith No More avrebbe potuto far funzionare qualcosa del genere, con la stessa naturalezza di un eterno bambino. Un bambino con le scarpe da vecchio. Una maschera fatta col cartone degli alcoolici. Lo si può chiamare “Matador” e funzionerebbe lo stesso come supereroe. “Sol Invictus” non soffre la concorrenza più del dovuto, configurandosi come un grande ritorno da supereroe americano di periferia e di dubbia moralità in un vaudeville di una quarantina di minuti un po’ retrò, ancora scanzonato, diretto, di mestiere e di fede. Ancora una volta invincibile e più efficace di qualsiasi nuovo Avengers. Un tassello che si integra perfettamente nel puzzle discografico di una band di questo calibro.

TRACKLIST

  1. Sol Invictus
  2. Superhero
  3. Sunny Side Up
  4. Separation Anxiety
  5. Cone of Shame
  6. Rise of the Fall
  7. Black Friday
  8. Motherfucker
  9. Matador
  10. From The Dead
18 commenti
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