7.0
- Band: FANGE
- Durata: 00:32:25
- Disponibile dal: 17/03/2017
- Etichetta:
- Throatruiner Records
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Tornano nei negozi piuttosto in fretta i francesi Fange, ad appena quattro mesi dell’esordio sulla lunga distanza. Sembrerebbe quindi scontato presumere che questo materiale fosse, quindi, parte della stessa session di registrazione del precedente album, e invece il salto musicale è piuttosto tangibile. Restano le generiche radici sludge, ma qui la violenza viene esacerbata a dismisura, e sfuma quasi ogni residuo di melodia, per quanto entro i limiti di utilizzo di tale termine. A parte l’episodio di “Les Gémonies”, guarda caso anche il brano più vicino a quanto fatto in precedenza, la durata delle tracce si è ridotta parecchio, e la direzione intrapresa è quella di un assalto molto meno in forma canzone e parecchio più aggressivo. Sia per le linee vocali che per la loro struttura, i due brani iniziali ci riportano alla mente i Godflesh di “Streetcleaner”: tra il basso in evidenza e la voce acidissima, la differenza con la loro precedente produzione – o quantomeno l’evoluzione, si sente eccome. “Ultra France” è dalle parti del marciume decostruito degli Alkerdeel, una traccia (brano sarebbe veramente troppo, in termini di composizione) costruita sulla deformazione della voce e su rumorismi quasi industrial. “Vore” scorre su binari analoghi e raccapriccianti – naturalmente in senso buono – e mette decisamente sugli scudi il contributo dietro il microfono di Matthias Jungbluth; o almeno sembrerebbe lui il responsabile dei passaggi più fangosi, rispetto al contributo più canonico di Jean-Baptiste Léveque. La successiva “Ressac” si attacca senza soluzione di continuità e ci immerge in un bagno di sangue alle soglie dell’hardcore, tra le bordate della batteria, la chitarra ritmatissima che dipinge forse il primo vero riff in due album e la scatenata ugola al vetriolo; e gran finale nuovamente votato al caos di grande efficacia. Avevamo parlato, per il precedente “Purge”, di un lavoro abbastanza convincente, con il limite della scarsa fantasia; visto che di passi avanti qui se ne sentono, ci pare corretto aggiungere mezzo punto rispetto ad allora e dire senza timore, chapeau.