6.0
- Band: FATES WARNING
- Durata: 00:56:47
- Disponibile dal: 27/09/2013
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: EMI
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Sono trascorsi ben nove anni dalla pubblicazione di “FWX”, mesta testimonianza sonora che ha (apparentemente) concluso nel peggiore dei modi possibili l’autorevole carriera ventennale dei Fates Warning, artefici di almeno un paio di pietre miliari del progressive metal (“Parallels” e “A Pleasant Shade of Gray”). Nel frattempo, il chitarrista Jim Matheos ha preferito dare libero sfogo alle sue vulcaniche idee in compagnia del mai troppo celebrato Kevin Moore (celebre ai più per il suo meraviglioso apporto ai tasti d’avorio su “Images And Words” dei Dream Theater), firmando quattro album con gli OSI e trovando anche il tempo di rilasciare un convincente sequel di heavy metal classico nel progetto Arch/Matheos. Il prolifico musicista e produttore ha ritenuto opportuno riportare alla luce il moniker Fates Warning, richiamando all’ovile il fidato Ray Adler alla voce, il bassista Joey Vera, il chitarrista Frank Aresti (a onor del vero impiegato soltanto in alcune parti soliste aggiuntive) ed il mostruoso session man Bobby Jarzombek, al quale spetta il compito di sostituire Mark Zonder dietro le pelli, membro storico del ‘fato’ che ha scelto di proseguire la sua carriera nei redivivi Warlord. In “Darkness In A Different Light” si alternano più ombre che luci, incapaci di proiettare in maniera non del tutto nitida il discorso musicale inaugurato tredici anni fa con la svolta moderna raffigurata nel più che valido “Disconnected”. L’assenza del tocco magico sui tasti d’avorio di Moore si fa indubbiamente sentire (sebbene egli stesso risulti accreditato come autore del testo di “O Chloroform”, abbagliante gioiello progressivo abbellito dalle corde vocali di Adler), ma il fattore decisivo che rende non del tutto entusiasmante questo rientro in pista è dovuto alla considerevole ed effettiva distanza fisica tra i suoi membri, impossibilitati nel donare una consistenza organica alla materia sonora. L’impressione di trovarci nuovamente di fronte ad un prodotto confezionato da una serie di (interessanti) spunti individuali, dominati dalle sei corde distorte di Matheos e non da un team affiatato, viene concretizzata dal fatto che le voci e le chitarre sono state registrate a casa del mastermind nello stato del New Hampshire, il basso a Los Angeles e la batteria nel Connecticut. Intendiamoci, in questo lavoro non mancano un paio di episodi in grado di rievocare i bei tempi andati come “Firefly”, traccia che raggiunge notevoli picchi espressivi all’altezza del bridge, e “I Am”, fulgido esempio di metal progressivo dettato da un incedere matematico, ingigantito al contempo da una passionale performance di Adler. Piace senza stupire la spregiudicata aggressività profusa da “One Thousand Fires”, mentre lo spettro dei Queensrÿche più algidi appare nell’introspettiva “Desire”. “Falling” è un’intensa power ballad che avrebbe potuto (e dovuto) essere sviluppata in maniera più articolata, lasciandoci in bocca un persistente amaro senso di incompiutezza, là dove “And Yet It Moves” è una tortuosa suite eseguita dal collettivo in maniera ineccepibile, ma inceppata nelle maglie dei suoi stessi meccanismi, incapaci di librare nelle nostre orecchie un paesaggio sonoro ammaliante e ricco di spunti espressivi. Salvo miracolosi colpi di coda, insomma, dubitiamo che i Nostri in futuro siano in grado di ricreare la magia dei bei tempi andati. Una sufficienza che per i Fates Warning assume il sapore di una sconfitta.