7.0
- Band: FEAR FACTORY
- Durata: 00:34:12
- Disponibile dal: 18/06/2021
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Ci sono dischi che vengono definiti giocoforza dagli eventi circostanti, album che sicuramente rimarranno legati alla memoria degli ascoltatori assieme ai risvolti del percorso artistico di una band. “Aggression Continuum” è stato un parto durato quasi quattro anni, minato da sanguinose battaglie legali, bancarotte, crowdfunding e drammi familiari. Nessuno si sarebbe lamentato se Dino Cazares avesse gettato la spugna dopo tante difficoltà, invece eccolo qui, come unico membro fondatore, mente, volto ed identità dei Fear Factory. Dino e i FF sono una cosa sola ormai, ed il testamento artistico di Burton C. Bell (almeno per quanto riguarda il libro dei titani dell’industrial di Los Angeles, è un capitolo che nella storia trentennale di un gruppo) non si può affatto ignorare. Come suggerisce il titolo, Cazares si è impegnato a fondo per scrollarsi di dosso i detriti della lunga tempesta che ha danneggiato la formazione, andando con le unghie e con i denti a donare un grande senso di continuità che non destabilizzasse in alcun modo i fan storici, probabilmente unico patrimonio rimastogli. Ecco quindi un disco forgiato nello stile unico dei Fear Factory, modellato con gli stessi identici suoni della produzione passata grazie all’enorme esperienza in studio del chitarrista di origini messicane, che arruola gli storici collaboratori Andy Sneap e Rhys Fulber per avere la matematica sicurezza di raggiungere il risultato (anche se il producer è Damien Raynaud e le tastiere sono suonate da Igor Khoroshev). Le voci di Burton C. Bell, congelate dal 2017, rivivono nella lunghissima post-produzione assieme alle parti di batteria ri-registrate da Mike Heller dando vita ad un disco che, come “Genexus”, potrebbe essere collocato dopo “Digimortal” oppure invertito col precedente senza causare alcuna deviazione rilevante. Formazione classica o meno, ascoltando il robotico sincronismo con cui corrono chitarre e batteria siamo sicuramente davanti al suono della Fabbrica della Paura. “Disruptor” e “Fuel Injected Suicide Machine” contengono ritornelli con garantito ingresso in setlist, gli stoppati di “Manufactured Hope” e i riff di “End Of Line” (anche coi chiari rimandi a “Zero Signal”) dimostrano che Cazares ha ancora cartucce da sparare. C’è anche qualche sfumatura in più, come marcati elementi di archi che si aggiungono ai synth minacciosi, probabilmente tocco di Khoroshev, e una ricerca di linee melodiche più marcate da parte di Bell, forse per andare incontro alle sensibilità che vuole esprimere negli Ascension Of The Watchers, ma alla fine delle dieci tracce del disco emerge un affiatamento pressoché intatto tra Bell e Cazares. L’importante alla fine è questa alchimia che, anche se ricreata in studio, riesce a far trionfare l’industrial metal della band sui malfunzionamenti delle relazioni umane, facendo chiudere un occhio sul riciclo di idee e su qualche episodio zoppicante. Nulla sarà più lo stesso senza Burton C. Bell, ma possiamo dire che quest’ultima opera col cantante rappresenta una dignitosa ‘fine di un’era’.