voto
6.0
6.0
- Band: FEAR FACTORY
- Durata: 00:44:43
- Disponibile dal: 08/02/2010
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Come si fa a parlare male di un disco dei Fear Factory? Si può, eccome. Del resto, già con “Transgression” (e in parte anche con “Digimortal”) il gruppo americano aveva offerto a fan e addetti ai lavori diversi assist, muovendosi in una direzione ora più ruffiana, ora semplicemente più rock, con risultati decisamente alterni. Eh… ma “Transgression” era il parto di una band che, al secondo disco senza Dino Cazares, era ormai a corto di idee dopo l’inaspettato successo del sorprendente “Archetype”, direte voi! Ok, allora come la mettiamo adesso che Raymond Herrera e Christian Olde Wolbers sono stati cacciati e che il chitarrista di origine messicana è di nuovo al comando della formazione assieme a Burton C. Bell? Certo, si sono sprecate le dichiarazioni riguardo un totale ritorno alle origini, per non parlare di altisonanti paragoni con album come “Soul Of A New Machine”, “Demanufacture” od “Obsolete”! Eppure, dopo vari ascolti di “Mechanize”, il sentimento che rimane è proprio quello dello sconforto. Tutto sembra troppo piatto per il gruppo: le chitarre suonano spente ed uguali canzone dopo canzone, la batteria di Gene Hoglan fa il suo dovere, ma ovviamente – come da tradizione Fear Factory – si limita a seguire l’andamento del riffing senza prendere iniziative; e poi c’è l’elettronica, questa volta buttata lì in qualche intro tanto per riprendere qualche atmosfera del passato. Il singolo “Fear Campaign” è un comune pezzo thrash che la solita produzione iper pompata vuole mascherare da hit dei Fear Factory, mentre “Industrial Discipline” è praticamente una b-side degli ultimi Divine Heresy… e con questo abbiamo detto tutto. Per non parlare poi di “Metallic Division”, strumentale senza alcuna utilità che arriva poco prima della conclusione… traccia incollata nella tracklist a forza con il bostik. Un nobile decaduto, in pratica… l’ennesimo, fra le band che hanno fatto la storia del metal anni ’90. Poi, però, succede qualcosa. Succede che, portando pazienza, ti rendi conto che i Fear Factory, a prescindere da quale sia la loro incarnazione, un disco completamente brutto fanno proprio fatica a scriverlo e che anche tra i solchi di “Mechanize” in realtà c’è qualcosa da salvare. “Powershifter” e “Controlled Demolition” sono la solita minestra, ma tutto sommato scorrono bene e dal vivo avranno un gran tiro, mentre “Designing The Enemy” ha un bel chorus e uno sviluppo ben studiato. E con la conclusiva “Final Exit”, apice dell’intero platter, Cazares riesce a mettere a segno un’altra hit epica vagamente sulla scia di una “Resurrection”. Davvero un bel pezzo, quest’ultimo, nel quale anche Bell da il suo meglio, sfoderando una prestazione potente e sentita e delle linee vocali molto azzeccate. Insomma, niente rivalsa, niente capolavoro sulla scia di quelli degli anni ’90. Nulla di tutto ciò. Soltanto un album senza infamia e senza lode, per i nuovi Fear Factory. La produzione rispetto al recente passato è migliorata, il ritorno a un sound più aggressivo c’è stato, ma, alla fine dei conti, “Mechanize” contiene esattamente tanti brani validi quanti ne conteneva “Transgression” (il quale aveva in particolare una “540,000° Fahrenheit” e una titletrack non da poco). Tra l’altro, stando a quanto ci ha da poco annunciato Cazares (a breve l’intervista online), il prossimo tour sarà dedicato alla celebrazione del quindicesimo anniversario della pubblicazione di “Demanufacture” piuttosto che a questa nuova opera. Cosa che la dice lunga su quanto la band stessa creda veramente nel suo nuovo materiale. Dategli un ascolto, ma non stupitevi se tra qualche tempo vi sarete dimenticati i titoli dei brani o se il gruppo americano dal vivo li ignorerà in favore dei vecchi classici.