6.0
- Band: FEAR FACTORY
- Durata: 00:48:45
- Disponibile dal: 01/06/2012
- Etichetta:
- AFM Records
- Distributore: Audioglobe
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Fear Factory, ventitré anni di cyber-metal giunti al capolinea? La domanda sorge spontanea, arrivati nel 2012 al cospetto dell’ottavo full-length album della band losangelina, questo “The Industrialist” che, nonostante le vicende ormai confuse che attorniano la Fabbrica della Paura e nonostante l’ennesimo stravolgimento di line-up, pare essere ancora un disco molto atteso dalla grande massa metallara. Ci spiace scriverlo, ma per noi i Fear Factory sono un po’ morti, così come Dino Cazares e Burton C. Bell – le due anime trainanti del combo – non ci sembrano tuttora in grado di dare quella scossa necessaria affinché le sorti della loro band si elevino da ‘facciamo il compitino che sappiamo fare bene’ a ‘tiriamo fuori un altro fottuto capolavoro!’. E’ dal post-“Obsolete” che i Fear Factory vanno in altalena, dopo che i loro primi lavori erano deflagrati a massima potenza; il deludente “Digimortal” aveva anticipato l’uscita del Dinone pornostar dal gruppo, che in sua assenza è stato in grado di partorire prima l’ottima mazzata “Archetype” e poi lo sperimentale – forse non compreso appieno – “Transgression”; l’ultimo “Mechanize”, tutto sommato ben ricevuto dai fan, aveva riproposto molto scontatamente le sonorità con cui i Fear Factory giocano in casa. E, a ben vedere, è ciò che Burton e Dino fanno tutt’oggi con il qui presente “The Industrialist”. Quindi, coloro di voi che amano indefessamente la band ed il suo suono futuristico, robotico, triggerato ed epico, non avranno molto di che temere: il disco c’è ed é pure accettabile, nonostante alti e bassi ed il finale un po’ discutibile, con l’ennesima estenuante composizione (“Human Augmentation”, nove minuti) caratterizzata da rumorismo, effettistica e nient’altro. Ma chi non si accontenta? Cosa deve pensare chi considera i Fear Factory dei pionieri sempre all’avanguardia ed ora suppone siano diventati una specie di macchietta di se stessi, soprattutto alla luce delle imbarazzanti prove dal vivo a cui ci sta abituando la Fabbrica? “The Industrialist” presenta dunque i riff sincopati trade-mark Cazares, le strofe in scream-growl e i chorus ariosi e apocalittici in classico stile Bell. E poi? Il basso orfano di Byron Stroud non ci é pervenuto, la batteria orfana di Gene Hoglan é la solita mitragliata glaciale di pattern pneumatici; le atmosfere del concept sono anch’esse scontate, con la sola “God Eater” a proporre qualche arrangiamento elettronico inedito per i Fear Factory, che fortunatamente almeno non si tuffano completamente nell’onda dubstep – anche se qualche pulsione c’è! – che pare aver contagiato un bel po’ di formazioni metal vicine all’industrial e all’elettronica. I brani buoni non mancano, sia chiaro, e come scritto più sopra il platter è soddisfacente, soprattutto in situazioni di massima aggressione, come per esempio all’altezza di “Disassemble” e “Difference Engine”, oppure grazie ai ritornelli maggiormente convincenti (“New Messiah”, il singolo “Recharger”). Però, purtroppo, la sensazione generale che pervade il lavoro è quella della stancante staticità, quella della pochezza di idee, quella del ricorso alla soluzione più ovvia e sicura. Chi scrive, paradossalmente, rimpiange la vitalità che la band aveva mostrato senza Cazares. Ma soprattutto si trova a rimpiangere la freschezza e l’entusiasmo che i Fear Factory degli anni ’90 avevano portato all’interno di tutta la scena extreme metal. Un gruppo adagiatosi. Riportategli l’interruttore su ON, per favore.