7.5
- Band: FEED THEM DEATH
- Durata: 00:27:44
- Disponibile dal: 20/06/2024
- Etichetta:
- Brucia Records
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Da realtà prettamente death/grind, figlia dei ‘soliti’ Misery Index, Nasum e Terrorizer, a progetto in grado di vestirsi di sperimentazione e trasversalità, attingendo dai mondi noise, industrial e ambient per immergersi in un incubo metropolitano dai contenuti torbidi e destabilizzanti. Da one-man band a gruppo vero e proprio, complici gli ingressi di DaviDeath dei Cogas alla chitarra e di Nige dei Tannhäuser Krieg alla batteria. Non si arresta l’evoluzione dei Feed Them Death, così come non si placa il desiderio del loro creatore – quel Void che qualcuno ricorderà essere stato il bassista degli Antropofagus ai tempi del seminale “No Waste of Flesh” – di mettersi alla prova e rimescolare di volta in volta le carte in tavola, tracciando con il passare degli anni e dei dischi una parabola artistica tanto mutevole quanto, a suo modo, coerente.
Pubblicato da Brucia Records, etichetta ligure già responsabile delle atrocità di LaColpa e Laetitia in Holocaust, “The Malady” inaugura quindi l’asset a tre elementi della formazione, segnando anche un ritorno a sonorità più asciutte e dirette in uno stile che comunque – è bene sottolinearlo – non lesina affatto in contaminazioni e sguardi lanciati oltre la sfera metal.
Undici brani per mezz’ora scarsa di musica che partono dagli insegnamenti del vecchio catalogo Earache (dagli Unseen Terror ai Godflesh, passando ovviamente per i Napalm Death), rimangono nei bassifondi inglesi grazie alle derive crust/post-punk di Amebix e Killing Joke e che finiscono per abbracciare una sorta di libera improvvisazione dai toni acidi e jazzati, la quale conferisce alla tracklist una spinta autogena sia a livello ritmico che chitarristico.
Un flusso corrosivo dato dall’incontro/scontro di più fonti, ma che nel momento in cui si dirige verso l’ascoltatore non fatica a presentarsi come una corrente omogenea e spontanea, fra cori puliti a sbucare dalle retrovie, pattern da dancefloor deviato e sferzate thrash-core atte a ribaltare il discorso, sacrificando parzialmente quell’effettistica glaciale che aveva contribuito a fare di “Negative” (2021) un’esperienza viscerale e totalizzante.
Tirando le somme, se il termine non fosse universalmente sinonimo di apparati musicali ben più eleganti e raffinati di questo, si potrebbe persino parlare di avantgarde, dato l’approccio sui generis con cui – anche oggi – i FDT imbastiscono la loro narrazione; una narrazione che però, come detto, qui non manca mai di suonare sporca, scabra, concisa, e che per certi versi amplia (attualizzandole) le intuizioni di un album controverso come “Diatribes”, con episodi del calibro di “D.E.A.T.H.”, la title-track e “Panopticism II” a ribadire l’effervescenza compositiva di lider maximo e compagni.
Al quarto full-length (senza contare gli EP), si può dire che la creatura italo/inglese non abbia ancora messo il piede in fallo.