7.5
- Band: FERALIA
- Durata: 01:04:09
- Disponibile dal: 28/04/2022
- Etichetta:
- Time To Kill Records
Spotify:
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I Feralia avevano mostrato ottime potenzialità fin dal loro disco d’esordio, e con il precedente EP “Over Dianam” – presentato già al momento dell’uscita come una parte di un più corposo lavoro – la curiosità verso il loro nuovo full-length era solo cresciuta.
Oggi possiamo decisamente dire che l’attesa è stata ben ripagata; “Under Stige / Over Dianam” è un disco che vive di contrasti fin dal titolo, ma non per la ricerca di asperità sonore o di provocatorie sperimentazioni: quelle che prendono forma tra questi solchi sono narrazioni musicate del dualismo tra uomo e Natura, tra introspezione e furia selvaggia.
Andando a descrivere più dettagliatamente i brani, “Laudatio Funebris” è una intro di vecchia scuola, che sviluppa atmosfere lugubri e trasognate a partire da arpeggi di chitarra e strani clangori. Quando poi avviene il passaggio alla distorsione e si introducono le tastiere e i sussurri da brivido (non a caso frutto della presenza di Agghiastru, ospite sicuramente di rilievo) veniamo subito immersi in un mondo magico e oscuro; quello proposto dai Feralia è di fondo il suono dei rituali misterici, è l’odore della terra che gravita e pulsa intorno ad altari sperduti, e tutta la prima parte del disco sembra accrescere questa sensazione. Un continuo dualismo in cui i Nostri riescono a suonare selvaggi e malinconici al tempo stesso, a mostrare non poca nostalgia per la primordiale scuola norvegese (“Vigil”) e ad essere però perfettamente ‘mediterranei’. Il disco segna l’ingresso in pianta stabile del nuovo cantante Erymanthon Seth – già presente come ospite in un brano del precedente EP – e del batterista P, già nei Noise Trail Immersion, ed entrambe queste nuove presenze mostrano il loro rilevante contributo; il secondo, in particolare, grazie a una cadenza metronomica sia nelle parti più feroci che nei momenti più epici, mentre dietro il microfono è notevole la varietà quasi teatrale e sofferta con cui voci diverse prendono forma nell’ugola di Erymanthon, accrescendo il senso narrativo (e anche di smarrimento). Nei diversi brani troverete un campionario ad ampio spettro di cosa sia il black metal, passione di vecchia data di tutti i componenti della band, che non a caso riescono a introiettarlo e dargli un tocco di modernità senza per questo stravolgerne i canoni, o puntando a impressionare con mirabolanti sperimentazioni.
Sono anzi certi momenti all’apparenza semplici a spiccare particolarmente in un corpus che va affrontato comunque, a nostro parere, come una lunga suite in cui perdersi; pensiamo a “The Pyre And The Stars”, che parte dissonante e ritualistica prima di aprirsi a pura ferocia, per poi toccare nuovamente corde profonde su movenze acustiche, oppure alla title-track: maestosa, con tastiere d’altri tempi e una cadenza che nella prima parte può far pensare al senso d’infinito evocato da brani scolpiti in eterno nelle nostre cicatrici come “Det Some Engang Var”.
La seconda parte del disco è ‘semplicemente’, come detto, la riproposizione dell’EP “Over Dianam”, ma oltre al valore completistico, assume anche particolare importanza nell’esaltare quel gioco di contrasti che contraddistingue e rende interessante il lavoro della band torinese, grazie a brani che orbitano intorno a sonorità più folk e elegiache; sicuramente più evocativi che violenti rispetto alla prima metà, ma non per questo meno intensi.