7.5
- Band: FIRESPAWN
- Durata: 00:41:38
- Disponibile dal: 07/06/2019
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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I Firespawn non si fermano più. Quella che inizialmente – per quanto ben costruita – sembrava una semplice attività di ripiego per alcune vecchie glorie del circuito death-black svedese, è ormai una creatura dal passo inarrestabile giunta con “Abominate” all’importante traguardo della terza fatica sulla lunga distanza, la quale ribadisce una volta per tutte la sua intenzione di fare sul serio e non adeguarsi al cliché secondo cui le cosiddette ‘all star’ band sono sinonimo di tanto fumo e poca sostanza.
Un disco che, senza stravolgere le coordinate stilistiche dei precedenti capitoli, ne esplora i lati più quadrati e anthemici, retaggio dell’antica passione del quintetto per la scena metal degli Eighties (Iron Maiden, Judas Priest e l’intero circuito thrash e proto-death) e filtrati da una spiccata sensibilità diabolica. Come intuibile, non siamo neanche lontanamente vicini all’attitudine sorniona e rockeggiante dei vicini di casa Tribulation o dei vari Slægt e Cloak, realtà che nell’ultimo periodo hanno intrapreso con discreto successo la strada del vintage; gli undici brani qui raccolti odorano piuttosto di zolfo, sudore e sangue, e sulla scia dello splendido dipinto di Paolo Girardi sembrano scandire l’avanzata di legioni demoniache contro i cancelli del cielo. Musica che diventa istantaneamente sinonimo di headbanging e corna alzate, fatta di chorus trascinanti, riff poderosi e strutture ordinatissime, con i vessilli di Unleashed, Necrophobic e Morbid Angel piantati a capofila della tracklist come monito minaccioso.
Per qualcuno la solita minestra, quasi anacronistica se rapportata ai recenti sviluppi del panorama estremo; per altri una quarantina di minuti assolutamente imperdibili, figli di un carisma e una padronanza di mezzi notevoli. Sta di fatto che, se si decide di analizzare il songwriting, a prescindere da dissertazioni sull’originalità e la freschezza del tutto, pezzi come la titletrack, “Heathen Blood”, “Godlessness” e “The Undertaker” si configurano come le ennesime, terremotanti hit a portare la firma di LG Petrov e compagni, stampandosi in testa nel giro di mezzo ascolto e schiacciando sotto il loro peso qualsivoglia accusa di appannamento. Speriamo di vederli presto anche dalle nostre parti.