8.0
- Band: FIRESPAWN
- Durata: 00:42:57
- Disponibile dal: 28/04/2017
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
Chi credeva che i Firespawn fossero la classica ‘all star band’ destinata a sparire dai radar dopo un disco e qualche apparizione live farà meglio a ricredersi. Con “Shadow Realms”, solido esordio datato novembre 2015, questi cinque veterani del panorama death-black scandinavo stavano solo scaldando i motori, e la conferma di tale supposizione risponde al nome di “The Reprobate”, secondo full-length album che, a mo’ di incendio indomabile, rade al suolo ogni difesa, fa terra bruciata intorno a sé e ci consegna un gruppo tutt’altro che appagato dai riscontri fin qui ottenuti, ancora una volta intento a filtrare gli insegnamenti dei primi Morbid Angel attraverso le visioni diaboliche di Necrophobic, Naglfar e compagnia satanica. La formula è insomma la stessa adoperata due anni fa, ciò che cambia è essenzialmente l’ispirazione alla base del songwriting, ancora più fluido e messo a fuoco nel suo risultare tanto catchy quanto brutale alle orecchie dell’ascoltatore. Strutture ordinate e compatte, di chiara ascendenza classic metal/hard rock, fungono da base per una proposta saldamente radicata nella tradizione estrema dei Nineties, in cui frenesia, potenza e senso melodico danno vita a carneficine da assaporare con un ghigno beffardo stampato in volto, veri e propri anthem che non possono fare a meno di innescare headbanging e corna al cielo. Strofe e chorus ben delineati si profilano fin dall’opener “Serpent of the Ocean”, episodio che, con il suo riffing velenoso e sempre pronto a sfumare in soluzioni epiche, le sue ritmiche scioltissime e le sue linee vocali intelligibili, cortesia di un L-G Petrov in grande spolvero dietro al microfono, spiana la strada ad una tracklist varia e perfettamente costruita, dove un momento prima si calca come non mai il piede sull’acceleratore (“Blood Eagle”, in forte odore di Marduk) e quello dopo si rallenta repentinamente fino ad omaggiare l’Angelo Morboso di “Where the Slime Live” (la titletrack), passando per contagiose vie intermedie (“Damnatio ad Bestias”, “A Patient Wolf”). Un album ‘di genere’ nell’accezione migliore del termine, fieramente diretto e ricco di grandi intuizioni a livello compositivo, nel quale semplicità non diventa mai sinonimo di semplicismo. Un album che, una volta tanto di questi tempi, non necessita di infinite fruizioni per essere assimilato, colpendo dritto allo stomaco in un’escalation dalle tinte rosso sangue e nero tenebra. Caldamente consigliato.