7.0
- Band: FIREWIND
- Durata: 00:44:22
- Disponibile dal: 20/01/2017
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Sony
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Pur trattandosi una band che di sicuro fa bandiera dell’immobilismo stilistico, questa volta i Firewind si stavano facendo aspettare con un certo interesse. A parte infatti il lungo tempo intercorso dall’ultimo “Few Against Many” – quasi cinque anni – che da solo può già essere sufficiente a far salire l’attesa nell’animo dei fan più sfegatati; questa volta però anche la novità rappresentata dal nuovo volto dietro al microfono: quello barbuto e ispido del bravo Henning Basse. Il cantante dei Mayan e prima ancora di Metalium e Sons Of Seasons si è infatti sostituito all’ex Apollo Papathanasio nel 2013, all’indomani dell’abbandono di quest’ultimo. La contrapposizione tra le due voci, quella acuta e rotonda di Apollo e quella profonda, ruvida ma emozionante di Basse, poteva suscitare legittimamente qualche domanda, ma a queste domande il buon cantante tedesco risponde però con una prestazione davvero convincente, annoverabile trai punti di maggiore interesse dell’album intero. Con questo non siamo qui a dirvi che l’intero album ruota solo attorno alla prestazione del cantante, dimenticandoci così dell’importante apporto chitarristico del grande Gus G., ma siamo però piuttosto confidenti di non sbagliarci individuando proprio nel cambio di vocalist le cause principali delle (poche) modifiche occorre al sound della band. Innanzitutto – e brani come “Ode To Leonidas” o “Back On The Throne” lo dimostrano in pieno – il genere di riferimento dei Nostri adesso sembra essere più un heavy classico a tinte anche piuttosto epiche piuttosto che il power europeo che faceva mostra di sè sugli album precedenti. La velocità è scesa, gli arrangiamenti si sono fatti più importanti (senza però mai rubare spazio alla chitarra) e le tastiere di Katsionis si dedicano più che altro ad aumentare l’afflato drammatico o narrativo dei vari brani, senza più inseguire con veloci assoli o fraseggi le evoluzioni della chitarra. Grazie a quest’approccio più… ‘ortodosso’, diremmo, i Firewind si dimostrano in grado sia di non scontentare i vecchi fan, proponendo un album comunque in linea con la personalità della band e non certo rivoluzionario, ma anche di parlare a un bacino di utenza forse più vasto, risultando interessante anche per coloro che si aspettano soluzioni più potenti e sonorità più eleganti come i vari fan di Pyramaze, Borealis o Circle II Circle. Insomma, valeva la pena aspettare quasi cinque anni: questa versione un po’ più meditativa, ma dall’indubbia qualità artistica dei Firewind l’abbiamo trovata davvero molto piacevole.