7.5
- Band: FIVE FINGER DEATH PUNCH
- Durata: 00:42:12
- Disponibile dal: 19/08/2022
- Etichetta:
- Better Noise Music
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Ci voleva il covid e uno stop forzato all’umanità intera per imporre uno stop ai Five Finger Death Punch, travolgente treno in corsa a velocità folle dal 2005. Uno stop che ha sfasciato definitivamente la formazione 2.0 della band di Las Vegas, che ha perso il batterista fondatore Jeremy Spencer nel 2018 e ha visto nel 2020 l’uscita del chitarrista Jason Hook, penna fondamentale del quintetto che ha firmato diverse hit nel decennio 2009-2020. Una pausa che probabilmente ha anche salvato la vita al frontman Ivan Moody, arrivato a disintossicarsi dall’alcool col fisico che, a causa dell’astinenza, ha completamente ceduto, tanto da essere dichiarato clinicamente morto per qualche minuto. Sulla vivida esperienza post mortem, che in circostanze differenti anche il leader del gruppo Zoltan Bathory ha sperimentato in gioventù, è stato costruito il nono album “Afterlife”: un disco che dà il via ai Five Finger Death Punch 3.0 con il virtuoso Andy James alla chitarra, una collezione che rilancerà la band in infiniti tour in giro per il globo e un album che se da un lato tira un osso dritto in bocca ai detrattori, dall’altro sarà facilmente un enorme successo.
Cerchiamo di chiarire: i Five Finger Death Punch stanno sul cazzo a molti in primis per l’estetica, e dalle foto promozionali sembra di essere davanti a un gruppetto di villain colorati sul punto di invadere Gotham City. Sono accusati di non essere propriamente heavy metal, e questo è sicuramente il loro disco più facile, melodico ed infarcito di hit radiofoniche. A molti dà anche molto fastidio la produzione – e il sesto uomo Kevin Churko, forse con troppo tempo a disposizione dietro la console, serve una collezione di singoli iper prodotti fino all’eccesso, con le batterie super tonanti e riverberate (che per gli orecchi fini sono completamente elettroniche) abbinate stavolta a chitarre pompate fino ad essere monumentali, cori super pop ed effettati e una patina di elettronica ed effettistica dietro ogni singolo brano, nel generale sound super patinato e masterizzato per lo streaming… in sintesi un vero e proprio incubo per ogni amante del vinile e delle produzioni analogiche vecchia scuola.
Dall’altra parte ci sono però le legioni di fan dei Five Finger Death Punch, che nel 2021 hanno assicurato al gruppo 17.7 milioni di ascoltatori e 582 milioni di stream sul solo Spotify. Per loro “Afterlife” sarà un altro centro, e vi spieghiamo il motivo. I Death Punch sono una band che ha trovato molto presto il proprio sound distintivo, così da arrivare al successo e scalare le classifiche di gradimento in ogni angolo del globo con dischi sempre abbastanza aderenti ad una formula particolare e vincente, che probabilmente non verrà mai veramente abbandonata. Di sicuro ciò non avviene in “Afterlife”, nonostante Zoltan parli del disco della totale libertà compositiva, arrivato grazie ad un Ivan non più schiavo dell’alcool e alla totale mancanza di limiti temporali, quella libertà artistica che il chitarrista di origini ungheresi compara a quella dei Queen. C’è però del vero, in quanto siamo davanti ad un disco parecchio vario per gli standard compositivi del gruppo, che si basa in fase di scrittura quasi esclusivamente sul trio Moody/Bathory/Churko (da sempre il sesto uomo dei 5FDP) lasciando al virtuoso Andy James spazio per parti soliste sintetiche, pulite e di pregevole fattura. Ci sono le hit potenti e anthemiche, pronte per le arene: in cima ci mettiamo “Welcome To The Circus” con le sue frecciatine ai social, ma anche “Afterlife”, “IOU” e “Pick Up Behind You” sono pronte al consumo da parte del pubblico e futuri successi certificati costruiti sulla ritmica di Zoltan e i grandi ritornelli di Ivan.
Troviamo più melodia del solito durante l’ascolto, il successo di “A Little Bit Off” apre infatti agli episodi più tranquilli e radiofonici come “Times Like These” e “Thanks For Asking”, alla più canonica power ballad “The End”, ma pure ad episodi più audaci come “Judgement Day”, che tralascia le chitarre per un po’ ed osa con un beat sulle frequenze sonore sperimentate dai due artisti sul ‘punto di morte’. A corollario, per i fan più affezionati, ci sono anche un paio di sberle old-school che sembrano uscite da “War Is The Answer”: “Roll Dem Bones” e “Gold Gutter” col loro incedere bastardo e strafottente faranno sicuramente la felicità di tutti gli affezionati knuckleheads.
Come avrete capito, “Afterlife” è un disco destinato a farsi amare ed odiare in tutti i suoi difetti soggettivi: la sua immediata grandezza, il potenziale commerciale, il fan service e l’arrogante formulaicità, praticamente un distillato delle caratteristiche che hanno cementato la via del successo per la band di Las Vegas. Nel bene o nel male, “Afterlife” non contribuirà in alcun modo a levare i Five Finger Death Punch dalle scatole.