7.5
- Band: FIVE FINGER DEATH PUNCH
- Durata: 00.47.10
- Disponibile dal: 18/05/2018
- Etichetta:
- Eleven Seven Music
- Distributore: Warner Bros
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Il 2017 è stato l’ostacolo più grosso che i Five Finger Death Punch abbiano mai incontrato sulla propria strada: ci sono arrivati sbandando e un decennio senza sosta alle spalle, un Ivan Moody instabile e una causa importante (sostanzialmente persa) con la propria etichetta discografica hanno minacciato seriamente il quintetto di Las Vegas in uno scontro pressoché fatale. Come nei più pirotecnici incidenti visti in Mad Max eccoli comunque emergere da fumo, fuoco e groviglio di lamiere, lividi e sanguinanti ma con la solita rocciosa attitudine. “And Justice For None” è stato completato e consegnato a fine 2016, ma essendo fondato sul trademark compositivo del gruppo il dettaglio è impercettibile: le coordinate sono infatti quelle di “American Capitalist” – un disco diviso equamente tra uptempo spacconi e ballate colossali – con qualche strizzata d’occhio a “War Is The Answer” nei pezzi più heavy, sempre strettamente nella parabola votata all’ airplay che li sta indirizzando verso l’obiettivo di headliner di arene e festival, peraltro già conseguito negli Stati Uniti. A confronto del precedente “Got You Six” il settimo capitolo dei Death Punch ha il pregio di avere composizioni arrangiate magistralmente, tanto da risultare nettamente distinguibili l’una dall’altra, con alcune inedite variazioni sul tema: il lento “I Refuse” è reso bombastico e cinematografico, “Blue On Black” ci trasporta brevemente in territorio blues rock con atmosfere à la Bon Jovi, “Bloody” è invece un pezzo completamente pop (!) pompato e metallizzato. Vogliamo poi parlare di pezzi ‘more of the same’ come “Sham Pain”, che rigira magistralmente tutto il dramma mediatico intorno alla crisi di Ivan Moody in un singolo clamoroso, del ruffiano inno al sogno americano “Top Of The World” e della marcia groove dal retrogusto power metal (!) “Fire In A Hole”? Ripetitività, mancanza di coraggio, testi stupidi sono le critiche che la band si tira dietro da sempre e con cui continua a pulirsi il culo avanzando con attitudine fiera e vincente, con quella baldanza, autoreferenzialità e ostentazione che gran parte del pubblico metal non riesce a far propria. Le legioni di fan in aumento adorano queste caratteristiche, vogliono i testi catartici con cui identificarsi di Ivan, il riffing percussivo e groovy di Zoltan, gli assoli efficaci di Jason e il drumming scintillante di Jeremy, tutte caratteristiche che abbondano in una raccolta di potenziali singoli come “And Justice For None”, istantanei facili e contagiosi come necessario all’obiettivo prefisso dal gruppo ma non così banali come qualcuno vuole dipingerli, poiché oggi come oggi nessuno, nello stesso campo da gioco, riesce davvero a fare di meglio. L’enorme macchina Five Finger Death Punch è ormai più grande dei singoli elementi che la compongono, e potrebbe tranquillamente andare avanti senza qualità, come fanno mostri di dimensioni ben maggiori: figuriamoci dove potrà arrivare con dischi ben costruiti come “And Justice For None”.