8.0
- Band: FJOERGYN
- Durata: 00:59:30
- Disponibile dal: 02/06/2023
- Etichetta:
- Trollzorn
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Sei anni dopo l’ultimo album in studio “Lvcifer Es”, i turingiani Fjoergyn tornano alla loro vecchia etichetta Trollzorn Records, giusto in tempo per celebrare il loro ventesimo anniversario e dopo una non felicissima collaborazione con Lifeforce.
Nonostante il cambio di label, il nuovo “Judasmesse” continua il fil rouge presente nei precedenti lavori, seppur con non poche novità e mantenendo intatta la voglia di trascendere un genere come il black metal.
Il mood del nuovo materiale si avvicina a tratti quello dissonante dei piú recenti Abigor, filtrato però attraverso la scuola norvegese meno ortodossa, da cui i Fjoergyn prendono in prestito un riffing old-school ma allo stesso tempo fresco e ispirato. Esempio perfetto sono le due camaleontiche tracce di apertura, “Sturz” e “Kain”, ipotetico anello mancante tra i i Dødheimsgard più thrashy di “Monumental Possession” e quelli lisergici e visionari di “666 International”. Questo solo per dare un’idea, in quanto la band non si limita mai a copiare, ma ci mette molto del suo, costruendo un viaggio sonoro tragico e teatrale attraverso eleganti e intense aperture orchestrali, come nella drammatica “Non Serviam”, la cui struttura si avvicina a quella di una colonna sonora sottolineando il carattere da concept album di “Judasmesse”.
“Komm Abel lass uns aufs Feld gehen”, coi suoi preziosi inserti di sassofono, è di fatto un suggestivo intermezzo strumentale in preparazione alle tre parti di “Prometheus” che occupa tutta la parte centrale del disco e si snoda attraverso un camaleontico saliscendi fatto di accelerazioni black metal, eleganza kraut-rock e quell’intensità drammatica tipica dello sturm und drang teutonico in termini di estetica tonale e visiva.
A completare il quadro ci pensano i quasi dieci minuti della conclusiva “Warfarin”, un pastiche perfetto di psichedelia, linee vocali prese da un certo folk tedesco, assoli progressive e arrangiamenti sinfonici.
Volendo tirare le somme, nonostante alcune innegabili influenze, nessun momento di “Judasmesse” è di fatto paragonabile a qualcosa di sentito in tempi recenti, tanto grande e vario è lo spettro comunicativo presente: peculiarità che tuttavia può rappresentare un’arma a doppio taglio se ci si approccia ai Fjoergyn in maniera superficiale o distratta. Il consiglio per entrare in sintonia con un disco come questo è quindi quello di munirsi di pazienza e apertura mentale per prepararsi ad un suono denso, organico, a volte scorbutico ma originale e spesso molto emozionante. Senza dubbio tra le sorprese top di questa prima metà del 2023.