
6.5
- Band: FLESHBORE
- Durata: 00:40:00
- Disponibile dal: 24/01/2025
- Etichetta:
- Transcending Obscurity
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Con il loro secondo album, “Painted Paradise”, i Fleshbore offrono uno spaccato delle loro ambizioni musicali, mostrando al contempo i limiti di una proposta ancora in cerca di una direzione precisa. La giovane formazione americana si muove tra varie sfumature all’insegna di una modernità death metal improntata sul tecnicismo, proponendo un sound che attinge da una gamma di influenze piuttosto ampia, talvolta a discapito della coesione stilistica. Il risultato è un disco che alterna momenti intriganti ad altri meno interessanti, lasciando intravedere un potenziale ancora in via di definizione.
L’album si sviluppa sostanzialmente lungo due direttrici principali: da un lato, troviamo brani che abbracciano un techno-death metal sostenuto, elegante e articolato, dove l’influenza di band come i recenti Archspire si mescola a un gusto per il groove e l’orecchiabilità che richiama gli Psycroptic o i Soreption. Questo tipo di songwriting mette in evidenza la capacità dei Fleshbore di costruire strutture dinamiche, arricchite da riff arzigogolati e dalla presenza costante di un basso intraprendente, che spesso si ritaglia un ruolo da protagonista. Non mancano poi momenti più sinuosi e dal carattere arioso, che lasciano intravedere un’inclinazione sì progressiva ma meno esasperata, in linea con i Job For A Cowboy più recenti, per una serie di parentesi che aggiungono profondità a una proposta per il resto piuttosto diretta.
Dall’altro lato, ci sono pezzi che puntano su un approccio più opprimente e cavernoso, dove i Fleshbore si spingono verso territori da cui emergono anche influenze brutal death metal con accenni di deathcore. Qui la band enfatizza la componente heavy, supportata da riff più ignoranti e ritmiche schiaccianti. Sebbene queste tracce provino a trasmettere maggiore energia, soffrono talvolta di una certa monotonia di fondo, aggravata dalle linee vocali. Il cantato, spesso sin troppo gorgogliante e insistente (a cui talvolta vengono persino aggiunte delle gang vocals), tende infatti a soffocare troppo le evoluzioni strumentali. Un elemento che stona tanto quanto lo scarso carattere della resa sonora, con una produzione che, pur essendo tutto sommato adeguata al genere e funzionale nell’esaltare la complessità tecnica delle esecuzioni, risulta sin troppo fredda e nel complesso piuttosto anonima, senza particolari guizzi in grado di rendere il sound dei Fleshbore riconoscibile.
L’abilità tecnica dei musicisti è comunque fuori discussione, con un basso che appunto spicca per vivacità e inventiva, e, in generale, una sezione ritmica preparatissima. Gli spunti melodici disseminati lungo il disco, soprattutto nella prima metà, suggeriscono una direzione potenzialmente più personale che meriterebbe di essere esplorata ulteriormente.
In definitiva, “Painted Paradise” è un lavoro che si lascia ascoltare, ma che fatica un po’ a distinguersi in un panorama in cui vi sono parecchie proposte dal carattere simile. Per gli appassionati di sonorità moderne e tecniche, con un occhio di riguardo per un basso ingegnoso, questo disco può comunque rappresentare una piacevole scoperta. In futuro, però, per i ragazzi di Indianapolis sarà importante affinare la propria identità artistica e ridurre la dispersione tra le diverse influenze, per trasformare il potenziale intravisto in un risultato più incisivo e personale.