7.0
- Band: FLESHGOD APOCALYPSE
- Durata: 00:53:58
- Disponibile dal: 16/08/2013
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Piaccia o meno, oggi come oggi i Fleshgod Apocalypse sono da considerarsi la band italiana con maggiore visibilità all’interno della scena estrema; vuoi per un contratto pesantissimo con la Nuclear Blast, vuoi per la quantità e la qualità dei tour intrapresi, vuoi soprattutto per la bravura della band. Non vi sono dubbi, insomma, che “Labyrinth” sia una delle release più attese dell’anno per ciò che concerne il metal tricolore. Ebbene, dopo svariati ascolti possiamo dire che il terzo full length del quintetto non delude le attese, sebbene risulti qualitativamente e stilisticamente lontano dal formidabile esordio “Oracles” che – ormai lo diamo per assodato – rimarrà una sorta di unicum all’interno di una discografia che rema in direzione sempre più distante dal death metal e a tratti perfino dal metal estremo propriamente inteso. Casomai, si possono azzardare dei paragoni con il precedente “Agony”, del quale il nuovo platter risulta una sorta di logica continuazione, in chiave decisamente più pomposa e sinfonica. Non crediamo di mancare di rispetto ai Fleshgod Apocalypse dicendo che “Labyrinth” é un album meno personale e più derivativo di quelli precedenti, filiazione diretta di band quali Rhapsody, Bal Sagoth, Septicflesh, Dimmu Borgir e soprattutto Wintersun. Il metal estremo sopravvive nelle vocals di Tommaso Riccardi e di Cristiano Trionfera e in alcune ritmiche serratissime mitragliate dalla batteria di Francesco Paoli, uno dei drummer migliori in circolazione, che qui spesso viene limitato da esigenze di copione che lo portano a preferire tempi velocissimi ma anche piuttosto anonimi rispetto ad un lavoro più costruito ed articolato. La seconda componente “uccisa” dal sound sinfonico dei Nostri é la chitarra ritmica, che disegna un riffing troppo lineare e completamente succube degli arrangiamenti orchestrali. Terza nota stonata sono le clean vocals di Paolo Rossi, a nostro parere davvero inadeguate e strozzate, cosa che ha inciso non poco anche nella resa live. Questi i contro. Vi sono ovviamente anche dei pro, dato che sarebbe stupido ed ingeneroso bollare “Labyrinth” come un lavoro non riuscito. Come detto, questo é un album basato quasi completamente sulle orchestrazioni e da questo punto di vista i Fleshgod Apocalypse fanno un clamoroso centro. Sostenuti da un sound praticamente perfetto ad opera di Stefano Morabito, i Nostri scatenano tutta la loro grandeur attraverso l’utilizzo di tastiere pomposissime, abbinate ad orchestrazioni da kolossal cinematografico, perfettamente arrangiate da Trionfera, protagonista assoluto del lavoro assieme ad un Francesco Ferrini sempre più padrone della situazione. Un brano come “Elegy”, ad esempio – fatte salve le derive più estreme – i Rhapsody sono anni che non riescono più a scriverlo, così come stupisce la solidità di “The Fall Of Asterion”, che ci piacerebbe sentire eseguita da una vera orchestra, come già fanno i Septicflesh; bene anche “Minotaur (The Wrath Of Poseidon)” e “Under Black Sails”, decisamente epiche e complesse; é tutto il lavoro a non subire cali di tono esagerati e a mantenersi sempre su dei livelli più che buoni. Ora la bravura dei Fleshgod Apocalypse starà tutta nel trovare equilibrio: in questi cinquantatre minuti abbiamo già detto che la componente ritmica é stata sacrificata sull’altare della pomposità e della magniloquenza, con tutto ciò che questo comporta a livello di riuscita dei brani. Il tutto però é uscito talmente possente ed altisonante che siamo convinti che saranno in pochi ad accorgersi della cosa. Insomma, la band prosegue su di una strada ben precisa, le idee ci sono, i mezzi per fare bene anche: non fatichiamo ad immaginare per loro il futuro roseo e radioso che si meritano; non ci si chieda però di chiudere gli occhi sulle cose che non funzionano, in nome di un inutile sciovinismo tricolore.