8.0
- Band: FLUISTERAARS
- Durata: 00:33:39
- Disponibile dal: 28/02/2020
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
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La tedesca Eisenwald vede giusto anche questa volta e dà alle stampe il terzo lavoro dei ‘Sussurratori’ olandesi. Il duo formato da Bob Mollema alla voce e Mink Koops (autore del songwriting e polistrumentista) è autore di un black metal di moderna concezione, nel quale però si rintracciano elementi vintage ed altri antichi, quasi ancestrali. Le note biografiche incuriosiscono e in parte spiegano questa sensazione, dato che non è usuale vedere citati gli Electric Prunes (band americana che negli anni ‘60 univa psichedelia e garage/beat) o il cantante, compositore e discografico Lee Hazlewood (quello che ha portato al successo Nancy Sinatra, per intenderci). Si tratta di influenze sotterranee, non di una commistione evidente di questi generi diversissimi – per la quale vi rimandiamo ai pazzi australiani Black Magick SS – che danno a questo lavoro sfaccettature un pochino diverse rispetto a quelli di molti colleghi.
“Bloem” non è un album immediato, non perchè ostico, ma nel senso che cresce con gli ascolti: quello che è evidente sin da subito è la portata emozionale di tutte le composizioni, in particolare di “Eeuwige Ram”, autentico gioiello che colpisce per la melodia carica di epica malinconia. In questo senso, abbastanza lato, possiamo parlare di black ‘atmosferico’, caratterizzato da un uso sapiente dei cambi di tempo e di inserimenti sperimentali (vedi “Nasleep”) o di break acustici (“Vlek”) il tutto senza che si perda mai il focus; un’ultima menzione va alla conclusiva “Maanruïne”, il brano più articolato e progressivo del disco, impreziosito da fiati malinconici. I Fluisteraars dimostrano infatti l’assai raro dono della sintesi e ci regalano poco più di mezz’ora di musica intensa, a tratti epica, a tratti sognante, che pure mantiene intatta la ferocia che dovrebbe essere propria del black metal. Trentatré minuti che scorrono davvero bene, complice un’attenzione per le melodie e una cura per i dettagli che non è mai manierismo e nulla toglie alla genuinità di un lavoro che fa centro anche a livello di produzione, che è sporca e lievemente lo-fi quel tanto da ‘scaldare’ le composizioni.
Il campo di papaveri in un cielo terso posto in copertina potrebbe far pensare all’ennesima ‘hipsterata’ furbetta, ma dentro c’è molto di più e di molto meglio, ascoltare per credere.