6.5
- Band: FLUISTERAARS
- Durata: 01:07:43
- Disponibile dal: 26/04/2024
- Etichetta:
- Eisenwald Tonschmiede
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Il duo olandese, autore nell’ultimo decennio di una manciata di lavori molto interessanti – in particolare “Bloem” – spiazza tutti con un disco che non contiene neanche una goccia di black metal, o più in generale di metal, anche inteso in senso lato.
Una vena sperimentale è sempre stata presente nella musica dei ragazzi di Bennekom, attratti dai suoni lo-fi, da un gusto non comune per le melodie e dalla registrazione in analogico; i Fluisteraars hanno sempre guardato al passato (e non necessariamente solo al metal) per costruire il proprio sound: tanto grezzo quanto curato, atmosferico e trascinante – perfino catchy – ma inequivocabilmente black metal nella forma.
Questo nuovo album, come già detto, cambia le carte in tavola e rivolge lo sguardo ad un universo da sempre molto vicino al metal, quello del dark ambient, un genere affascinante benché oggettivamente non di facile presa, quando non addirittura respingente. L’idea – semplicistica ma non così peregrina – di avere per le mani un ‘intero disco fatto di intro’ è infatti ciò che negli anni ha avvicinato molti metallari ad un mondo privo di riff, assoli, doppia cassa e blast-beat, sia in veste di artisti che di ascoltatori.
Così è stato anche per Koops e Mollema, che scelgono – coraggiosamente, è il caso di dirlo – la strada tutta in salita di un lavoro interamente strumentale, della durata quasi doppia rispetto a qualsiasi precedente uscita ‘standard’, tanto da superare l’ora intera. Per l’occasione i due musicisti hanno collaborato con Simon Claessen, programmatore ed esperto in strumentazione analogica, che li ha aiutati ad ottenere i suoni cercati, catturati nei pressi dell’aeroporto di Eindhoven: si tratta perciò di un approccio assolutamente sperimentale, anche se certamente non nuovo per chi ha un minimo di dimestichezza con la scena industriale (qualche nome di riferimento: Raison D’Etre, Morthond, TeHÔM, Dagda Mor, In Slaughter Natives).
È un monolite inquietante questo “Manifestaties Van De Ontworteling”, che non a caso significa qualcosa come ‘manifestazioni di sradicamento’, da intendersi come rottura stilistica ma anche come interferenza dell’attività umana nell’ambiente naturale. Ce lo dice la copertina quasi impressionista, la visione aerea di un tramonto infuocato, acido, al di sopra delle nuvole, e ce lo raccontano i suoni, che si fanno rarefatti, a tratti acuti e penetranti, insistenti e minacciosi.
Sebbene la suddivisione in tracce sembri essere poco più di una necessità discografica possiamo dire che il pezzo proposto come anticipazione, la conclusiva “Der Kunst”, non è la miglior scelta possibile, almeno davanti alla forza di “De Wieg Van Stormen”, coi suoi bassi spinti al massimo, o “Spirituele Vervreemding”, il brano dalle tinte più gotiche.
C’è un che di perturbante tra i solchi di questo disco: è qualcosa di familiare – il cinguettio allegro degli uccellini, il rombo placido e costante degli aerei in discesa – che lentamente sembra assumere una nota stonata, dissonante, che crea – appunto – un turbamento dell’animo. I Fluisteraars riescono, nei loro episodi migliori, come quelli citati, ad instillare in chi ascolta proprio questo genere di inquietudine profonda, sottopelle.
Altre tracce però non risultano altrettanto incisive, cosa che non sorprende se teniamo in considerazione la natura piuttosto scarna e ripetitiva della proposta, combinata ad una durata decisamente estesa della stessa: una spiegazione in tal senso arriva della partecipazione del gruppo all’edizione 2024 del Roadburn Festival, sede nella quale suoneranno per intero proprio questo set (che crediamo possa rimanere un unicum nella discografia della band).
In definitiva parliamo di un’opera più che discreta, non difficile da immaginare nel catalogo di etichette come Malignant Records e Cold Meat Industry, ma che allo stesso tempo potrebbe risultare assolutamente indigesta a chi non ha familiarità con le asperità sonore del dark ambient e della musica industriale.