7.5
- Band: FLYING COLORS
- Durata: 01:06;23
- Disponibile dal: 04/10/2019
- Etichetta:
- Music Theories Recordings
- Distributore: Edel
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Si parla di superband per indicare gruppi nei quali si ritrovano insieme musicisti illustri, che hanno magari fatto cose importanti con le proprie band, ma che decidono di collaborare al di fuori di queste. Talvolta si tratta di situazione occasionali ed estemporanee, altre volte c’è invece una certa continuità: i Flying Colors appartengono a questa seconda categoria e, benchè i protagonisti siano coinvolti in una miriade di altri progetti, non si se bene come, hanno trovato il tempo per realizzare il loro terzo full-length, intitolato, non a caso, “Third Degree”. Tutto sommato, la base è costituita, se vogliamo, in un certo senso, dall’incontro di una doppia coppia: Neal Morse e Mike Portnoy, infatti, da una parte, hanno collaborato, tra le altre cose, per i Transatlantic e la Neal Morse Band, mentre dall’altra, Steve Morse e Dave LaRue suonano insieme dai tempi dei Dixie Dregs e poi della Steve Morse Band. In mezzo a questi nomi non da poco, ritroviamo il cantante Casey McPherson, di estrazione più pop, scelto apposta in onore a quella che era appunto l’idea originaria del progetto.
L’album cerca dunque di far convivere un po’ tutte le influenze e gli stimoli che possono derivare dall’incontro di queste personalità: c’è qualcosa di prog, qualche ritornello pop, un po’ di hard rock e un certo flavour degli anni Settanta. Questa la ricetta di base, poi andando a guardare le singole tracce magari ci possono essere elementi che si mettono maggiormente in evidenza rispetto ad altri. Ad esempio, l’opener “The Loss Inside” è parecchio settantiana nelle sonorità, così come “Cadence”, dove si ravvisano influenze tra Yes e Led Zeppelin. Su “More” ci sono invece evidenti echi dei Muse, soprattutto a livello vocale, mentre su “Last Train Home” viene fuori il lato più prog del gruppo. Particolare “You Are Not Alone”, una canzone tipicamente americana che esalta la performance del cantante e che sembra quasi adatta come colonna sonora ad un film della Disney (e, d’altronde, non dimentichiamo che McPherson si è occupato in passato anche di questo), ma anche “Love Letter”, una traccia vivace e allegra, nella quale i Flying Colors si cimentano, tra le altre cose, in uno stacchetto con voci a cappella. Ci aspettavamo una grande suite con “Crawl”, che invece ci dà l’impressione di una bella canzone con un ritornello catchy, stiracchiata il più possibile per superare i dieci minuti.
Ovviamente (ci saremmo stupiti del contrario) in tutto l’album ci sono grandi performance e parti strumentali e anche LaRue si cimenta in qualche assolo, come ad esempio nel brano “Geronimo”, ma in generale questo avviene con una certa discrezione, nel senso che non c’è mai sfoggio di tecnica e tutto viene messo sempre al servizio del brano, senza mai strafare: d’altronde, si tratta di musicisti che davvero non hanno proprio nulla da dimostrare.
Nel complesso, “Third Degree” è senz’altro un bel disco, che si ascolta e riascolta con grande piacere, a patto che si abbia una certa apertura di vedute, nel senso che, proprio perchè fa convivere diversi generi, rischia di deludere chi possa aspettarsi tout court un disco prog o hard rock o quel che sia. Si tratta invece di un album che mira a creare un insieme dalla diversità, a trovare un incontro tra mondi diversi, un lavoro di squadra che cerca al contempo di esaltare ogni individualità. Non sempre è facile ottenere tutto questo e quando i Flying Colors ci riescono, i risultati sono veramente da brividi; per qualche traccia, a nostro avviso, non riescono pienamente nell’intento e allora non è proprio la stessa cosa. Non si tratta dunque del disco dell’anno o di un capolavoro inarrivabile, ma parliamo senz’altro di un disco che sa affascinare e che merita di essere gustato con la giusta attenzione.