7.5
- Band: FORMALIST
- Durata: 00:44:03
- Disponibile dal: 25/05/2023
- Etichetta:
- Brucia Records
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La speranza che questo ‘supergruppo’ non fosse solo un progetto estemporaneo era forte, dopo l’uscita dell’ottimo esordio di qualche anno fa; e per fortuna Marchisio e soci sono tornati tra noi con un nuovo, intenso lavoro.
La forma resta invariata, con tre lunghe, devastanti tracce che riescono a sintetizzare le istanze musicali delle band di provenienza (ricordiamo per i distratti: Forgotten Tomb, Malasangre, Viscera///) lasciando inalterata la sensazione di qualcosa in più – o comunque di diverso – da una semplice somma delle parti, oltre a guardare con capacità che travalica la pura nostalgia alla scena sludge dei primi Novanta.
Ecco quindi riff pesantissimi e ribassati a farla da padrone, ma anche feedback e distorsioni a non finire, e non sono meno efficaci i momenti in cui le chitarre aprono a overdrive spaccatimpani. Il basso è una vibrazione costante e disarmante che attraversa tutti i solchi del disco, mentre dal punto di vista ritmico ci sono diversi momenti struggenti che spostano la musica dei Formalist verso territori funeral doom, in particolare nel bel crescendo circolare di chitarra presente nella parte centrale dell’ultimo brano. È insomma uno sludge doom da malessere totale, che riporta alla mente con maturità la lezione degli Eyehategod fin dalle prime note: “Warfare” è un brano zanzaroso e alienante, in cui davvero è forte la sensazione che la Louisiana abbia trovato un degno contraltare in riva al Po, evocato nelle sue propaggini più fangose nei lungo passaggi liquidi e rumoristici presente in lunghe sezioni di questa prima traccia; è come immergersi non solo nel fiume, ma nelle atmosfere degli horror padani di Pupi Avati, per restare in tema di Emilia, solo che qui i mostri sono reali e invadono la testa.
Il secondo e il terzo brano vengono introdotti da due passaggi vocali dal forte impatto, nuovamente quasi cinematografici, nella loro potenza espressiva ed emotiva. “Monuments” è probabilmente il brano pù dilatato e disperato del lotto, una discesa nei recessi di una mente malata, ossia quella di ciascuno di noi nei momenti più sconfortanti della vita, con un ipnotico e disarmante riff sul finale.
Ora che le dipendenze di Mike Williams sembrano sedate, e con esse anche un po’ il disagio, e che band come Weedeater o Bongzilla, pur sempre amabili, hanno optato per una formula fin troppo consolidata e da facile reiterazione, possiamo dire che non tocca guardare troppo lontano per trovare i loro degni successori.