8.0
- Band: FU MANCHU
- Durata: 00:49:20
- Disponibile dal: 14/06/2024
- Etichetta:
- At The Dojo
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Il precedente “Clone Of The Universe”, pubblicato nel 2018, segnava per i Fu Manchu un ritorno ad una buona forma dopo un paio di album piuttosto zoppicanti e che facevano presupporre un declino inesorabile.
Di fronte a questo rinnovato entusiasmo una pausa lunga sei anni sembrava impensabile, anche se la pandemia avrà certamente contribuito, ma l’attesa non è stata vana, perché “The Return Of Tomorrow” è addirittura superiore al suo predecessore: in questo caso non ci sono sorprese o fuochi artificiali (leggasi la lunga suite “Il Mostro Atomico” con Alex Lifeson dei Rush), solo e semplicemente una manciata di pezzi ruvidi e diretti, in pieno stile Fu Manchu, e non è affatto poco.
La band di Scott Hill festeggia il trentesimo anno di attività, è tra coloro che hanno contribuito a scrivere i canoni del genere ed ora è tra i pochi sopravvissuti di quel periodo, ma non si può dire che il suo stile nel tempo sia molto cambiato, e non era lecito attendersi nulla di nuovo: anche questa volta parliamo di uno stoner rock tanto canonico quanto roccioso e lisergico.
Lo stesso cantante ha affermato che nei cinquanta minuti di “The Return Of Tomorrow” sono racchiusi due album, con una prima parte riservata ai brani più esplosivi ed una seconda a quelli più dilatati, ed in effetti è proprio così.
I sei pezzi iniziali sono una deflagrazione di riff ed assoli, con la magnetica voce di Hill a disegnare assolati paesaggi lisergici; i ritornelli di “Hands Of The Zodiac” e “Loch Ness Wrecking Machine”, addirittura, rimandano a quanto di meglio i Fu Manchu abbiano fatto agli esordi. “Destroying Light” sembra fare ponte, con i ritmi che iniziano a rallentare e le atmosfere a farsi più polverose, perfetta introduzione alle derive psichedeliche di “What I Need” e “Solar Baptized”, fino alla breve jam “High Tide”, in cui Pink Floyd e The Grateful Dead assumono tinte jazzate.
Potremmo affermare che ai Fu Manchu piaccia vincere facile, riproponendo all’infinito gli ingredienti che li hanno resi un’istituzione dello stoner rock, ma è più corretto enfatizzare come una band con una carriera così lunga alle spalle sia ancora in grado di distinguersi in una scena così affollata.