7.0
- Band: FUCK THE FACTS
- Durata: 00:17:03
- Disponibile dal: 18/06/2013
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I Fuck The Facts fanno sembrare cosa semplice unire il grindcore a soluzioni atmosferiche. Soprattutto negli ultimi anni ci hanno regalato una lunga serie di dimostrazioni di coraggio e furbizia, tuttavia siamo ancora lontani dall’abituarci completamente a questo suono, così asciutto nelle strutture, ma ricco nei contenuti. I canadesi a tratti possono essere visti come una versione “emotiva” di primi The Dillinger Escape Plan e Ion Dissonance, in cui le dissonanze e le parti più rovinose vengono spesso e volentieri sostituite da micro-intrusioni post rock, arie malinconiche e tutta una serie di elementi estranei al mondo grind e death metal, che guardano il più delle volte a musicalità e atmosfera. Difficile capire come i Fuck The Facts facciano esattamente a comporre i loro brani, ma i due estremi, l’attitudine elegante e lo strepito di fondo, in fin dei conti si sposano perfettamente e il frutto palesa equilibrio ed originalità. Il cerchio si chiude e tutto diventa cosa buona e giusta. È proprio questa a volte straordinaria coerenza di fondo – inizialmente impensabile, visti gli ingredienti chiamati in causa – a farci prestare sempre grande attenzione alle mosse della band del Québec, che sforna EP, split, live e demo a getto continuo riuscendo sempre a risultare imprevedibile ed avvincente, anche quando il prodotto appare sulle prime senza grosse pretese. Il nuovo EP “Amer”, rilasciato direttamente dal gruppo, è un concentrato di grind, screamo e accenni “post” che, se in mano ad un’altra formazione, potrebbe tranquillamente risultare di una notevole presunzione; elaborato e partorito dai Fuck The Facts, esso si rivela spontaneo e concreto tanto quanto un qualsiasi esempio di grindcore tradizionale. Certo, chi non ha grossa apertura mentale o familiarità con altri generi musicali potrà comunque trovarlo insensato o bizzarro, ma ciò fa parte del gioco; quindici anni di carriera e letteralmente dozzine di pubblicazioni dimostrano ampiamente che Topon Das e soci si preoccupano poco di ciò che l’ascoltatore medio potrà pensare delle loro espressioni artistiche.