5.0
- Band: FUZZRIDERS
- Durata: 00:43:00
- Disponibile dal: 6/06/2025
- Etichetta:
- Electric Valley Records
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Ascoltando i Fuzzriders, ci troviamo inevitabilmente immersi in un’atmosfera nostalgica, quella di fine anni ’90, quando il grunge cominciava a eclissarsi lasciando spazio alle allucinate visioni blues dello stoner. In quegli anni, la Man’s Ruin riuscì ad assumere il ruolo di etichetta sumbolo della scena, grazie alla capacità di affiancare nomi già affermati (Kyuss, Fu Manchu), padri tutelari (Melvins), progetti solo allora considerati secondari (Queens of the Stone Age, i dischi solisti di Brant Bjork), e nuove leve come Dozer e Unida, tutte legate a doppio filo al sound di Josh Homme e soci. La parabola della Man’s Ruin durò meno di un decennio, frenata da una gestione economica più che disinvolta, ma i vinili con il suo marchio sono oggi preda di una caccia feroce tra i collezionisti.
Con il debutto “I Like It”, pubblicato dalla sempre attenta Electric Valley Records, i sardi Fuzzriders guardano senza esitazioni a quel periodo fatto di chitarre desertiche e voci dal taglio blues. L’entusiasmo non difetta alla band, come si intuisce fin dall’assalto sonoro di “Sometimes” o dal refrain pop che pervade il rock’n’roll caracollante di “Can You Dance”, che una produzione volutamente grezza ammanta di un fascino da demo. Tuttavia, ciò che ancora manca al gruppo è la capacità di rielaborare le influenze in uno stile personale e riconoscibile, in grado di produrre brani realmente incisivi.
Nonostante una discreta perizia tecnica, la band inciampa spesso in limiti significativi di scrittura, che si risolvono in episodi poco memorabili come “Like a Worm” e “Old Man”, entrambi già apparsi sull’EP d’esordio, dove né i riff hard blues del primo pezzo, né le venature doom del secondo riescono ad allontanare il sospetto di una copia poco brillante dei Kyuss.
In questo contesto, titoli già di per se poco entusiasmanti come “I’m Rotten” o una “Your Infection” – che richiama la già poco appetibile monotonia elettrica del Neil Young di “Re-actor” – riescono a cambiare la direzione del disco.
Ci sono comunque spunti interessanti lungo la scaletta: la title-track, che omaggia gli Screaming Trees più abrasivi, la già citata “Can You Dance”, con la sua melodia accattivante, oppure l’acida jam psichedelica “Snake Skin”, posta in chiusura del disco. Dettagli che fanno intravedere un potenziale promettente che tuttavia non porta il lavoro a livello della sufficienza. Il nostro consiglio, dunque, è quello di prendersi il tempo necessario per sviluppare un songwriting più incisivo, prima di affrontare un secondo passo discografico.