8.5
- Band: GAAHLS WYRD
- Durata: 00:42:13
- Disponibile dal: 06/06/2025
- Etichetta:
- Season Of Mist
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Personaggio divisivo ed emblematico, Kristian Espedal è indubbiamente uno degli artisti più conosciuti della scena black metal norvegese. Se buona parte della sua notorietà è dovuta alla sua militanza nei Gorgoroth, i suoi veri picchi artistici rimangono i sempre troppo sottovalutati Trelldom – il cui recente ritorno è quasi sconvolgente per ecletticità e coraggio – i Wardruna e il suo progetto più recente Gaahls Wyrd, che si può forse considerare come il compendio di tutte le sue pulsioni musicali precedenti.
Catalogare un disco come questo nuovo “Braiding The Stories” sotto il termine ‘black metal’ è estremamente riduttivo, se non errato, e non rende onore alla mole di influenze diverse presenti che abbracciano i decenni di carriera del cantante di Bergen.
Dopo un EP interlocutorio come “Humming Mountain”, ritornare ai livelli del debutto era una cosa tutt’altro che semplice e Gaahl e soci lo fanno nell’unico modo possibile: evolvendosi senza limiti, uscendo dai binari di un genere preciso per poi espandere lo spettro musicale su stili che pur formalmente diversi suonano concettualmente vicini e coerenti.
Se i Trelldom di “…By The Shadows…” ci avevano già avvertito sul fatto che non c’è spazio per pregiudizi e preconcetti in casa Espedal, “Braiding The Stories” ne continua il percorso ideologico posando le basi per un suono che è diventato sempre più riconoscibile e unico.
I quaranta minuti dell’album pulsano di una coerente eterogeneità che riporta alla mente i momenti più belli delle avanguardie norvegese come Manes, Fleurety, Dødheimsgaard e In The Woods, ma solo come filo conduttore. Se infatti qualche sprazzo della meravigliosa traccia che dà il nome al disco sembra strizzare l’occhio appunto ai Manes, prende poi di fatto una strada tutta sua e figlia di un suono avvolgente e delicatamente prog, lontano dal metal estremo.
Progressioni folk si intrecciano con un semplice e toccante assolo di chitarra, il tutto sorretto dalla voce profonda ed elegante di Gaahl, a suo agio come non mai su certi registri; uno dei momenti più alti della loro discografia con un finale decadente e triste, specchio perfetto di quella malinconia che spesso associamo al metal norvegese.
I due minuti della inquietante “Voices In My Head”, tra dissonanze di musica contemporanea e un mood spettrale, anticipano gli estremismi di “Time And Timeless Timeline” il brano che non ci aspetterebbe, viste le premesse: immaginate i Satyricon degli ultimi due lavori filtrati attraverso le visioni sghembe e teatrali dei Dødheimsgaard, su un substrato di suoni e dettagli sonori quasi subliminali, e avrete una mezza di idea di quello che succede.
La metà del disco arriva con “And The Now” una sorta di folk alla Wardruna ma lisergico ed elettrico, supportato da inusuali arrangiamenti dissonanti di strumenti classici. Un brano dalla costruzione sonora assolutamente stupefacente e matura.
La produzione, ad opera di Iver Sandøy (batterista degli Enslaved) è calda, e vive di dettagli a volte quasi impercettibili ma preziosi, perfettamente integrati nell’immagine sonora dei brani.
“Through The Veil” che inizia come la cosa più vicina al black metal vero e proprio risulta essere, in realtà, un intermezzo che apre a “Visions And Time”, sorta di mantra folk che si avvolge sulle spire di una struttura musicale imprevedibile, tra arpeggi psichedelici, riff alla Enslaved e ritmiche più tribali che rock. Ė in questo particolare brano che viene palesato come quasi tutta la musica di “Braiding The Stories” venga arrangiata attorno alla voce di Gaahl, splendidamente prodotta ed arrangiata, che ne detta tempi, cambi e atmosfera.
Con “Root The Will” arriviamo all’unico brano puramente metal, costruito sui riff, con strutture più quadrate ma dalle linee vocali sempre inusuali e drammatiche e una coda emozionante e notturna; e se per un attimo il disco sembra quasi assestarsi su una zona di comfort, ci pensa la conclusiva “Flowing Starlight” a confondere di nuovo le idee: chitarre post-rock, basso in evidenza e ritmiche quasi post punk, anticipano sette minuti di una bellezza disarmante, che rimescolano di nuovo le carte per quella che è una delle canzoni più belle dalla carriera di Gaahl. Melodie di voce languide e delicate, su un muro di delay e riverberi e un’inedita pulsione ai limiti del pop-rock anticipano un finale quasi pinkfloydiano.
Descrivere la musica di questo lavoro è difficile, tanti sono i colori presenti sulla tavolozza di “Braiding The Stories”: ne fanno un episodio essenziale della carriera dell’ex Gorgoroth e uno dei momenti più riusciti di un certo tipo di musica che, nata da un genere come il black metal, ne ha mantenuto la componente ideologica e comunicativa, lasciando da parte quella puramente strutturale in favore di una ricerca sonora avulsa dagli stilemi classici.
La carne al fuoco è tanta, ma armatevi di tempo ed entrate nella giusta forma mentis, ne verrete ricompensati.