
7.5
- Band: GAME OVER
- Durata: 00:32:38
- Disponibile dal: 25/04/2025
- Etichetta:
- Scarlet Records
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Dopo un silenzio dai segnali abbastanza sinistri per un proseguimento della loro attività – intendiamo quello intercorso tra il 2017 e il 2023 – i Game Over sono ripartiti di slancio con l’ottimo “Hellframes”, disco che ne faceva impennare le quotazioni e francamente inatteso, ad ascoltare quanto prodotto prima di allora. Una carriera, fino a quel momento, costellata di tanta volontà e amore per il thrash metal, performance dal vivo energiche e coinvolgenti, ma che parevano relegare la formazione ferrarese a un ruolo di seconda schiera.
Fin lì, ci era parso che i loro sforzi non avessero prodotto nulla di così eclatante, giusto gradevole o poco più. Poi, appunto, è arrivato a “Hellframes” a cambiare completamente le carte in tavola: un thrash metal più profondo, lavorato, articolato, veramente di spessore, addirittura in grado di ricordare i Metallica nei loro anni migliori, tra canzoni di ampio respiro e intrise di drammaticità, un riffing tanto devastante quanto ricco di suggestioni e, la cosa più importante, un songwriting di prima fascia.
Un anno e mezzo più tardi, “Face The End” ribadisce la nuova dimensione raggiunta dalla formazione di origine emiliana, ora divenuta quintetto con l’ingresso di Danny Schiavina alla voce e di Leonardo ‘Leo’ Molinari al basso, in sostituzione dell’ex cantante/bassista Renato Chiccoli. Nel mentre, nessuna rivoluzione è intervenuta nel modo di affrontare la composizione, anche se il nuovo album suona complessivamente più essenziale e asciutto, tambureggiante dalla prima all’ultima nota, con concessioni atmosferiche relegate a “Crimson Waves”, peraltro una delle tracce migliori.
Diciamo subito che il nuovo innesto alla voce si rivela all’altezza del ruolo: il timbro non è lontanissimo da quello di Chiccoli, ciò nonostante Schiavina ha una sua personalità e cavalca a modo suo le trame strumentali, con l’arcigna passionalità e il piglio veemente richiesto da un cantante thrash, ricordando, singolarmente, il terremotante John Falzone degli oramai dispersi nelle sabbie del tempo Steel Assassin.
A spiccare anche stavolta, e infondere brillantezza ovunque, è un lavoro chitarristico di prim’ordine, tra melodie cariche di pathos e feeling, un riffing sprezzante e assoli di alta scuola. Sono forti in questo senso le affinità con “Hellframes”, ma in quest’album a dominare vi è un’atmosfera lievemente più scanzonata, caciarona, che alle prime battute induce la strana sensazione che i Game Over abbiano compiuto un passo indietro. Non è proprio così: la fiera di stop’n’go, assalti mosh, seconde voci anthemiche che va a comporre il primo singolo “Lust For Blood” è thrash nel midollo e non offre alcun tipo di sorpresa, eppure scorre che è un piacere, casinara, veloce e incendiaria come il thrash metal, tolte tutte le sofisticazioni del caso, dovrebbe essere.
Di un’idea ‘evoluta’ di thrash, qua non c’è proprio l’ombra, eppure con gli ascolti l’entusiasmo va a salire, proprio perché i cinque attingono ai fondamentali senza sbagliare una virgola. La vocalità da capopopolo del nuovo cantante e il groove stradaiolo irrompono in ogni dove, lasciando alle già citate soliste il compito di svariare e dare un tocco di musicalità. Metallica, Testament, Exodus sono i primi riferimenti per i Game Over attuali, ma per quanto possibile il gruppo si stacca quel tanto che basta dai numi ispiratori per fare il suo gioco come meglio gli riesce.
Il concatenarsi di strofe, ritornelli e assoli riporta a un’esperienza d’ascolto priva di cerebralismi, grandi domande su come interpretare questo o quest’altro passaggio: si ascolta, si apprezza e si scapoccia di gusto. “Grip Time” su un versante, diciamo, più ‘velocistico’, e “Lost In Disgrace” per chi ama i midtempo massicci, sono due esemplificazioni dell’efficacia di queste formule thrash oggigiorno. È chiaro quanto le doti strumentali dei singoli musicisti siano cresciute, andando di pari passo a idee più elaborate e una concezione del genere meno stereotipata di quella di qualche anno fa.
Abbiamo una leggera preferenza per le trame più composite e gli sviluppi più tortuosi di alcuni degli episodi migliori di “Hellframes”, tipo “Path Of Pain” e “Deliver Us”, ma anche a questo giro non possiamo che ammirare la freschezza del suono Game Over. In un genere inflazionato, spesso appesantito di semplici imitatori dalla grande foga e idee poverelle, gli emiliani mantengono la rotta e sfornano un album da ascoltare a ripetizione. Bravi.