7.5
- Band: GAME OVER
- Durata: 00:41:01
- Disponibile dal: 20/10/2023
- Etichetta:
- Scarlet Records
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E con questo sono cinque, gli album dei ferraresi Game Over. Un numero, spalmato in ormai quindici anni di attività, che ci fa un poco impressione, perché sembra ieri che la band calcava per la prima volta palcoscenici di un certo rilievo – tra cui citiamo volentieri l’energica performance in apertura del nostro festival nel 2014 – e ci azzannava col suo thrash metal tipicamente a stelle e strisce.
Chi scrive ammette di non essere stato, almeno fino a prima di questo “Hellframes”, particolarmente colpito dall’operato di questi musicisti. A parere strettamente personale, erano sempre difettati inventiva, dinamismo, un po’ di rielaborazione dei contenuti degli stilemi del Bay Area-thrash, così che il quartetto era sempre rimasto in una dimensione da follower, neanche tra i più brillanti a dirla tutta. Solidi, competenti, tenaci nel portare avanti il proprio discorso, sicuramente longevi – quanti si sono persi per strada, tra i loro coetanei assetati di thrash? – ma incapaci di fare il salto di qualità.
A dire il vero, già con “Claiming Supremacy” si erano notati dei passi avanti, anche se parevano abbastanza ridotti per aspettarsi chissà cosa in futuro. Invece, passati sei anni – tempo davvero lungo per loro – i quattro, rimasti praticamente immutati dagli inizi nella line-up (un solo cambio, alla batteria, con l’entrata di Anthony ‘Vender’ Dantone nel 2012), si ripresentano con un bagaglio di competenze ed idee ben superiore a quello che gli conoscevamo.
Improvvisamente, il thrash dei Game Over è diventato ‘adulto’, un aggettivo che fa storcere il naso a molti metallari, solitamente, perché il processo di ‘maturazione’ spesso si accompagna a un venir meno alla propria spumeggiante essenza di partenza. Nel thrash, poi, figuriamoci, trattandosi di musica che agli istinti e alla spiccata vena aggressiva deve molto del suo successo.
In questo caso specifico è il termine migliore che ci viene da utilizzare per definire l’evoluzione del gruppo, per il quale possiamo pensare – con le dovute proporzioni, si intende – a quanto avvenuto a suo tempo per Metallica e Megadeth, nel passaggio dagli inizi più selvaggi e ferini, a ritocchi e abbellimenti necessari a rendere complesso e multiforme il formulario di partenza.
Il suono in “Hellframes” si fa quindi più spesso, dettagliato, heavy ma luminoso, con una sua complessità di vedute subito apprezzabile nelle chitarre e nelle scelte ritmiche. Non più sparate facili e ignoranti, buone per qualche estemporaneo mosh sotto il palco: entra parecchia melodia ora nelle composizioni, che si mostrano anche riflessive, guardinghe, ombrose, e non temono inserti acustici e arie meste e sconfortate.
Saranno gli anni che iniziano ad assommarsi sul groppone anche per loro, le esperienze maturate, fatto sta che i Game Over attuali hanno slacciato i nodi che li tenevano ancorati a una dimensione di dignitosa seconda fascia e sono approdati a una conformazione ben più intrigante e sfaccettata. Anche nei brani più tirati e stringati emerge il miglioramento ottenuto, dalla qualità dei riff, ai cambi di tempo, alla compattezza; lo stacco qualitativo, in positivo, diventa per l’appunto ancora più chiaro quando si passa a dei movimentati midtempo, infiocchettati da solismi di ottima fattura. “Call Of The Siren” è un’opener tanto ‘classica’ nello svolgimento quanto impetuosa e ‘mosh’ al punto giusto, che fa il paio in immediatezza e adrenalina con il singolo “Synthetic Dreams”, dal tono quasi leggero, imperniato su un assalto sferzante e serrato, alternato a brevi pause atmosferiche.
Quando gettano un velo di malinconia alla Metallica dei vecchi tempi sulla propria musica, si possono trovare delle piccole perle come “Path Of Pain”, dal ritornello tanto rabbioso quanto struggente; oppure la prima parte di “Count Your Breaths”, che riporta in qualche modo alle atmosfere del “Black Album”, per poi aprirsi in una progressione ritmata, caratterizzata da un pregevole incrocio di assoli.
I Game Over del 2023 sono effettivamente divenuti un’affidabile macchina da anthem, perché viene proprio voglia di buttarsi senza pensarci due volte in mischie sotto il palco, mentre li si ascolta: su questo fronte, la nostra preferita è “Deliver Us”, addirittura roboante nelle parti più lente. Infine c’è il piccolo azzardo di “Hellframes”, che sfiora gli otto minuti e calca le non facili vie della composizione dai toni epici e carichi di pathos. Inevitabile, anche qui, andare con la mente ai Metallica ottantiani, tra andamenti più sornioni, improvvise impennate e un crescendo prima sommesso, quindi decisamente impetuoso e deflagrante. A un certo punto, si odono addirittura vaghe avvisaglie di doom, a tal punto si fanno percepire le tenebre nella musica!
In poche parole, i Game Over con “Hellframes” si sono proprio trasformati, entrando in un’altra, ben più esaltante, dimensione. Per tutti i thrasher desiderosi tanto di potenza quanto di melodia, un ascolto caldamente consigliato.