7.0
- Band: GATES TO HELL
- Durata: 00:21:13
- Disponibile dal: 21/03/2025
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Negli ultimi tempi, il termine “deathcore” si è fatto sempre più ambiguo. Da un lato, c’è chi ormai lo associa a chitarre ultra compresse e senza dinamica, batterie iper-editate che sembrano drum machine e tastiere tanto goffe e pretenziose da far sembrare certo symphonic black metal degli anni Novanta quasi raffinato. Dall’altro, ci sono band che restano fedeli all’idea originale del genere, fondendo un’anima hardcore con influenze propriamente death metal, senza sacrificare del tutto l’organicità della produzione e la fisicità dell’esecuzione. I giovani Gates To Hell rientrano senza dubbio in questa seconda categoria.
Il quintetto di Louisville, Kentucky, suona sostanzialmente un metalcore molto schietto e aggressivo, pompato da suoni e influssi death metal, per una miscela che non rinuncia mai a una certa ruvidità di fondo. Viste certe premesse, i ragazzi potrebbero generalmente essere accostati a Kruelty e Xibalba, ma i loro pezzi presentano breakdown più vistosi e strutture assai più compatte ed essenziali, aspetti che lasciano emergere una più spiccata matrice (modern) hardcore. Da questo punto di vista, i cinque non sono poi lontanissimi da formazioni come Knocked Loose — non sorprende che il batterista Trey Garris sia il fratello del frontman di questi ultimi, Bryan Garris – e da gruppi della medesima corrente, come No Cure o Year Of The Knife. Parlando invece delle derive più estreme, queste si traducono quasi sempre in passaggi serrati e blast-beat che badano più a dare respiro al pezzo che a costruire chissà quali climax disturbanti; detto ciò, non vanno comunque dimenticati alcuni riff dal tiro più tradizionalmente death metal, con qualche passaggio particolarmente rotondo e orecchiabile, in chiave anni Novanta, che può anche ricordare i nostrani Fulci.
Il punto di forza di “Death Comes To All”, in ogni caso, sta nella sua immediatezza. La band statunitense evita la digitalizzazione estrema tanto in voga nella fascia più mainstream del genere, preferendo un sound più organico e viscerale, che rende giustizia alla sua attitudine live. Non ci sono grandi pretese artistiche o sperimentazioni fuori luogo: l’unico obiettivo sembra essere quello di portare questo repertorio su un palco e scatenare il delirio nel pit.
Certo, un paio di episodi, tra breakdown e impennate improvvise, possono apparire strutturalmente disordinati, dando l’impressione di mancare di una direzione chiara e di uno sviluppo coerente. Tuttavia, con una durata complessiva di poco più di venti minuti, questo secondo (breve) full-length del gruppo non ha davvero il tempo di diventare indigesto. Se lo si affronta senza troppe aspettative analitiche, come un’unica, intensa esperienza d’ascolto, il risultato è soddisfacente e strappa subito un sorriso.
Del resto, “Death Comes To All” è un album che si pone con la giusta attitudine, facendo leva su un’ispirazione decente e su una praticità che ben presto si rivela particolarmente azzeccata. Un deathcore ‘proletario’, sobrio e divertente, che invoca la dimensione live sin dalle primissime battute. In un panorama dove il genere è spesso vittima di eccessi produttivi e soluzioni artefatte, questo approccio è già di per sé un punto a favore.